Fumo bianco

DI ELISABETTA DE MICHELE

 

 

Capo Tatánka guardava di sottecchi il giovane ragazzo dai capelli color del sole, ospite della riserva ormai da qualche settimana, che anche quel pomeriggio lo seguiva, a debita distanza, nella sua meditazione in cammino quotidiana alla soglia dell’imbrunire.
Questa volta il vecchio indiano partì un po’ prima del solito, perché aveva intenzioni diverse; era ora che il cerchio si aprisse.
Will mentre camminava cercava di seguire esattamente le orme di Tatánka, calpestandole a sua volta, ma lo faceva più per rimanere concentrato e non perdersi nei pensieri, sabotatori della meditazione, stato che lui ancora non riusciva tanto a raggiungere, che per emulazione; questo era decisamente un bene, perché l’indiano non avrebbe mai mostrato il suo occhio a chi non era curioso di camminare testando il terreno con le proprie gambe.

Giunti dopo mezz’ora di cammino al limitare del campone verde fiorito, anziché proseguire costeggiandolo, questa volta il vecchio Tatánka si fermò, e si sedette a gambe incrociate rivolto verso il prato; attese un attimo così, ad occhi chiusi, respirando profondamente l’essenza di ciò che gli si presentava davanti; quando ebbe assaporato tutto quel gusto di meraviglia che riempiva il suo palato, si girò verso Will. Il ragazzo, rimasto nel frattempo immobile e col respiro quasi trattenuto per non intaccare in alcun modo le profondità in cui di certo si trovava il vecchio saggio, vedendo improvvisamente il suo sguardo puntato su di lui sussultò ed ebbe una scarica di fremiti e brividi dentro e fuori. Tatánka fece cenno a Will di sedersi accanto a lui, e in pochi secondi fu accontentato.

“Cosa senti con le orecchie?”, domandò Tatánka; dovette però fargli subito cenno di aspettare, perché impulsivamente stava già azzardato una risposta. Il ragazzo allora restò attentamente in ascolto per un bel po’, poi disse:
“Il silenzio”
“Il silenzio cos’è?” Chiese il capo indiano
“Assenza di rumore?”, rispose timidamente Will, e più che una risposta pareva una domanda.
“O è forse assuefazione al rumore?” Tatánka lanciò un amo, e proseguì subito dopo con un altro: “Guarda bene quel prato, è abitato da innumerevoli insetti operosi, sei certo che ci sia il silenzio?”
“Allora forse, il silenzio è assenza di parole”?

“Mancanza di parole o parole mancanti? In quest’ultimo caso non si tratta di solitudine ma del sentirsi soli, e non v’è silenzio più assordante. Comunque, ragazzo, stai bene attento: noi stiamo parlando ma qui dici che c’è silenzio. Cos’è dunque il silenzio?”
“Assenza di pensieri?” provò di nuovo Will
“O assuefazione ad essi? Spesso non li sentiamo, ma quanti ce ne sono, e ronzano più forte di quella vespa laggiù” disse il vecchio indicando un punto molto, molto lontano. Poi si alzò, chiuse gli occhi al ragazzo e di nuovo gli domandò:
“Cosa senti con le orecchie?”
“Il silenzio”
“E il silenzio cos’è?”
“Assenza di assuefazione ai pensieri?”
Tatánka gli accarezzò il capo amorevolmente e disse:
“Senti gli insetti operosi? Senti le nostre parole? Eppure dici
di non sentire niente. Cos’è il silenzio?”
“L’unisono?”

Tatánka gli accarezzò il capo amorevolmente, e disse:
“Suoni uguali che si annullano. Assenza dell’assenza”; poi chiuse le orecchie al ragazzo e gli domandò:
“Cosa senti con il cuore?”
“Presenza!”
Quella sera il cerchio della pace si aprì, un nuovo membro veniva accolto; Filo di Sole aveva sperimentato la meditazione in cammino e ora si apprestava a sperimentare la pipa da cerimonia. Strinse il calumet tra le sue mani, aspirò ciò che tanto aveva aspirato, e sbuffò un po’ di bianca consapevolezza, facendone dono all’aria che lo circondava.

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