Furto e appropriazione indebita: differenze

Furto e appropriazione indebita: differenze

Spesso, nel quotidiano, si sente dire: “Tizio si è appropriato del mio bene, me lo ha rubato!”.

Questa frase (et similia) è foriera di fraintendimenti, soprattutto nel campo giuridico.

Dire che qualcuno “ha rubato qualcosa” (somma di denaro o un altro bene mobile, ad esempio) è ben diverso dall’affermare che Tizio “si è indebitamente appropriato di un bene”.

Il perché è presto detto: si tratta di due reati diversi, seppur apparentemente molto simili e, cioè, rispettivamente, di furto ed appropriazione indebita.

Partiamo, come di consueto, dal dato normativo, cercando di soffermarci sugli elementi essenziali di tali reati.

Il furto (più volte affrontato in passato nella nostra pagina, per cui si cercherà di essere brevi) è previsto dall’art. 624 c.p., che punisce la condotta di chiunque si impossessi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri.

Per poter parlare di furto, pertanto, occorre una materiale sottrazione del bene dal legittimo detentore, con il fine del profitto. Il tipico esempio è rappresentato dal furto del portafogli all’ignaro passante, approfittando magari della confusione circostante.

L’appropriazione indebita, prevista dall’art. 646 c.p., punisce, invece, chiunque “si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso”.

Si nota subito, in maniera lampante, la differenza principale: per poter rispondere di appropriazione indebita, in sostanza, occorre che ci si appropri di beni mobili, di cui già prima si aveva la disponibilità, senza che vi sia il bisogno di una materiale apprensione, come nel caso del furto.

Anche qui, il tipico esempio è rappresentato dal gestore di un albergo che, ricevuti in custodia dei beni preziosi da parte dei clienti, decida di trattenerli per sé e di non restituirli.

Si dice, più propriamente, che l’appropriazione indebita si consuma nel momento della cosiddetta “interversione del possesso”, cioè nel momento in cui il soggetto attivo, non restituendo il bene, decida di comportarsi manifestamente come se fosse il proprietario del medesimo o “uti dominus” (pur avendo solo la disponibilità dello stesso e non certo la proprietà).

A conforto di quanto detto, citiamo, a titolo di esempio, una delle tante sentenze della Suprema Corte, il cui orientamento in materia è granitico: Cassazione sentenza n. 25444/2017: “Il delitto di appropriazione indebita è integrato dalla interversione del possesso, che si manifesta quando l’autore si comporti uti dominus non restituendo il bene di cui ha avuto la disponibilità senza giustificazione, così da evidenziare in maniera incontrovertibile anche l’elemento soggettivo del reato”.

Riferimenti normativi: art. 646 c.p., art. 624 c.p., Cassazione sentenza n. 25444/2017. (FONTE: L’angolo del diritto penale)

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