Giacomo Balla, le frecce della vita

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Giacomo Balla: un futurista sui generis. Colui che si distaccherà, almeno in parte, dal suddetto movimento, sviluppando una tendenza espressiva più figurativa.

Il pittore torinese, il quale dichiara apertamente le sue idee nel 1910, quando aderisce, firmandolo assieme ai colleghi Carlo Carrà, Umberto Boccioni e Gino Severini, al Manifesto del movimento futurista, steso ed elaborato da Tommaso Marinetti, condivide le idee dominanti di quella che si rivelerà una delle più importanti avanguardie del Novecento.

Un momento estremamente importante per l’arte italiana, in parte penalizzata da alcune scelte degli anni precedenti, poi improvvisamente assurta a qualcosa di straordinariamente innovativo.

Occorre infatti tenere conto del particolare momento storico: mentre nell’Ottocento – precisamente nel 1861 – l’Italia si unisce, paradossalmente gli artisti si mostrano stilisticamente molto differenziati.

Un orgoglio di appartenenza locale che cerca di esprimersi in ogni maniera, allo stesso modo in cui una cultura dialettale tenta di salvaguardare una identità percepita come irrinunciabile.

Abbiamo quindi molti pittori, di grande produzione e di qualità elevata, ma tutto sommato più provinciali di quanto una nuova identità nazionale potrebbe suggerire.

Il primo decennio del Novecento, sotto questo aspetto, deflagra in qualcosa di completamente diverso, sviluppando qualcosa di davvero inedito, in cui le avanguardie si rivelano in grado di recuperare quel tempo apparentemente perso in precedenza.

I Futuristi, nelle parole di Vittorio Sgarbi, indicano la ricerca, dopo la terza, di una quarta dimensione, quella del movimento e del tentativo di rappresentarlo in pittura e scultura, operando in tal modo una caratteristica evoluzione che impone di porre, al centro della pittura italiana, non più quel limitante campanilismo ma tutto il mondo, e così facendo è la stessa pittura italiana a ritrovarsi al centro del mondo.

Si recupera così una dimensione internazionale, espressione fenomenale di proporzioni tali da elevare rottura e sovversione a rivoluzione definitiva nei confronti dell’arte classica.
Un reset in cui la tecnologia prevale sulla tradizione ed il presente è visto come opportunità di futuro.

E Balla, in ossequio alla nuova tendenza prerogativa di velocità e animazione, coglie il movimento degli uccelli – celebre, il suo Volo di rondini, in cui fotogramma per fotogramma ne sistema una sequenza precisa ‘cartoonistica’, il cui dinamismo contrasta con la, altresì rappresentata, finestra, parametro a completezza dell’immagine – ma non rinuncia ad una particolare poliedricità avente come fulcro lo studio della luce, sia naturale che artificiale, scomposta e originalmente resa in un’ottica interpretativa di grande spessore.

Nascono così le opere, come Le frecce della vita, in cui forme geometriche si accompagnano a lettere cubitali, e dominano, pur contrastandosi a vicenda, una realtà appositamente creata a rappresentare forze opposte e contrastanti, che si armonizzano quel tanto che basta per proporre un’immagine di gradevole comprensione, ma nascondono intrinsecamente la stessa volontà latente dell’autore, il quale, negli ultimi anni della sua vita, ritornerà ad una prospettiva decisamente più figurativa.

Curiosità: le figlie di Giacomo Balla si chiamano Elica e Luce…

Le frecce della vita (1928)
Olio su tavola (misure sconosciute)
Roma – Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea

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