Gianni Morandi, una vita di ripartenze per l’eterno ragazzo della musica italiana

DI GINO MORABITO

Una leggenda della musica. Una delle voci che, così come il vino, più invecchia e più acquista valore. Interprete a trecentosessanta gradi, appassionato di sport e fenomeno social, Gianni Morandi non si ferma e si reinventa ancora: è il mattatore che riesce a far brillare anche l’evento mediatico per antonomasia, il capitano coraggioso che getta il cuore oltre il palco, quell’uno su mille che ce la fa spronandoci a dare di più.

Difficile riassumere le tante luci di una storia senza tempo. Più facile ammirare la stella di Monghidoro, fissa lassù in alto, che continua fulgida a risplendere.

“Mi manchi, ricordo la nostra adolescenza insieme”. Una foto in bianco e nero con Raffaella Carrà, agli inizi di una carriera e di un’amicizia lunghe e bellissime. Il suo racconto comincia da qui, da un recente passato carico d’affetto.

«Ricordo la nostra adolescenza a Bellaria nei primissimi anni Sessanta d’estate, quando io cantavo al caffè concerto Nuovo fiore in piazza Matteotti e tua nonna Andreina si affacciava alla finestra, lì sopra, mi ascoltava e mi salutava col braccio. Ricordo te che abitavi con lei e venivi a giocare a ping-pong alla sala Cristallo e, a tutti noi ragazzini che ti ronzavamo intorno, regalavi sorrisi e poi scappavi verso i tuoi sogni, la danza e la musica… Ricordo tutte le volte che in seguito ci siamo rivisti, a Canzonissima con Corrado ed a Pronto Raffaella, a Carramba…»

La prima volta in tivù è nel 1962. Sergio Endrigo canta Io che amo solo te.

«Ancora oggi quella canzone mi fa venire i brividi. Mi ricorda di una ragazzina a Bellaria, Gianna. C’era un jukebox, ogni volta che lei arrivava mettevo dentro cinquanta lire, spingevo i tasti e partiva. A quel punto mi giravo dall’altra parte, mi vergognavo che si accorgesse che era dedicata a lei.»

Il successo lo travolge come un’onda anomala negli anni Sessanta, quando tutta l’Italia si ferma per ascoltare la storia di un eterno ragazzo.

«Allora in Italia c’era quel clima straordinario in cui si cominciava a intravedere qualcosa di positivo: l’economia andava meglio; compravamo la cinquecento, i frigoriferi, le prime televisioni.»

Essere stato dentro ai tempi che cambiavano, quasi come esempio, con le scelte personali, col suo modo di essere.

«Non sono stato consapevolmente quello che dice: “Ora vi spiego io come si fa!”. Ero lì, ero testimone, ero uno di quei ragazzi entusiasti sempre col sorriso sulle labbra, perché la vita ci sorrideva. Cantavo canzoni allegre, brillanti, che rimandano molto a quell’epoca. Avevo diciassette anni quando ho fatto il primo disco.»

Quell’invidiabile capacità di creare dei tormentoni sempreverdi come Fatti mandare dalla mamma a prendere il latteNon son degno di teAndavo a cento all’ora… Anche se la canzone del cuore rimane C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones.

«“C’era un ragazzo” la amo moltissimo perché fu la prima che scelsi io. Gli autori non ne volevano sapere, ero quello di “Fatti mandare dalla mamma”.»

Poi arriva Sei forte papà, è il 1976.

«Vendette un milione di copie ma, quando venne il momento di tentare di ricominciare una carriera, con quel “marchio” lì non ero più credibile. Quando, qualche anno dopo, Mogol scrisse “Canzoni stonate”, nessun discografico voleva ascoltarla. Per questo c’è stato un periodo in cui “Sei forte papà” l’ho odiata. Alla fine, però, quegli anni di buio sono stati salutari: ho due carriere, una prima e una dopo, e una vita meravigliosa.»

Come con un album di foto di famiglia, rivolgiamo lo sguardo agli Ottanta. Gli anni della ripartenza.

«La mia vita è piena di ripartenze. Negli Ottanta per me il treno passa un’altra volta, mi ritrovo lì e prendo quel treno. Poi esco con canzoni come “Uno su mille” e “Si può dare di più”, che tendono a mettere in vista il mio carattere, che è quello di combattere, di guardare avanti.»

Un lottatore tenace, sul palco e nella vita.

«La mia sfida è guardare al futuro anche se ho tante cose nel passato. Spero di poter tornare a fare concerti, incontrare la gente, incidere qualche canzone.»

L’umanità di un artista che ha sempre saputo valorizzare il lavoro di gruppo.

«L’idea del gruppo, dell’insieme, mi piace molto. Mi piaceva anche il gruppo della Nazionale italiana cantanti: insieme a Ruggeri e Tozzi andammo a Sanremo e vincemmo. Poi tornai in classifica in un pezzo con Amii Stewart, poi con Lucio…»

Dalla/Morandi, una grande collaborazione tra due mondi musicali molto diversi, due straordinarie personalità unite da un’amicizia profonda e dalle radici emiliane.

«Dopo aver parlato per tanto tempo di fare qualcosa insieme partimmo con una tournée durata due anni che ci ha portato in tutto il mondo. Direi che la seconda parte della mia carriera, molto diversa dalla prima, mi ha portato a vivere tante esperienze differenti: le fiction televisive, la conduzione di Sanremo, farne il direttore artistico; lavorare con Lucio, con Adriano, fare uno stupendo tour con Baglioni.»

L’uomo-squadra della musica italiana.

«Mi piace il gioco di squadra e non sono invidioso. Ci sono capocomici teatrali che vogliono primeggiare e la compagnia deve sottostare, io invece sono convinto che più persone sono forti in un gruppo e più ci guadagnano tutti. Baglioni era più forte di me come autore e io pensavo di essere più forte come interprete, e invece non era vero. Lucio si sa chi era, una macchina straordinaria da palcoscenico e, se voleva cantare, non ce n’era per nessuno. A me piace giocare in squadra, fare anche il gregario a volte, altre il protagonista. Magari ti passano la palla e fai gol!»

Più coesione e meno individualismi. Sappiamo quello che occorre per rimetterci in movimento, per far ripartire questo Paese.

«Serve una buona dose di ottimismo e anche che ci sia un po’ di senso dell’interesse collettivo. Adesso attraversiamo un periodo in cui si può uscire dalla crisi; riprendere la crescita economica; riaprire il turismo, le attività; far lavorare la gente.»

Fare il bene comune, governare saggiamente.

«Forse, chi parla in modo che può mettere d’accordo tutti è Francesco, il nostro Papa, ma poi anche lui trova sempre qualcuno che gli dà addosso. Se ripenso a mio padre e cos’erano la politica e la sinistra per lui, vedo che è tutto cambiato.»

Sembra di vivere un momento di grande trasformazione, anche nella musica.

«Un po’ come alla fine dei Sessanta, quando arrivarono cantautori e nuove idee dall’America. Lo stiamo un po’ rivivendo adesso, con un grosso numero di artisti che non vanno in tivù, se ne fregano delle case discografiche, ma smuovono un pubblico enorme. Questo è un cambio di panorama notevole che favorisce una varietà di stili, di proposte. Ci sono i nuovi che ripercorrono la via dei cantautori, come Brunori Sas, Diodato, Tommaso Paradiso, e poi un filone molto vario che prende le mosse dai vecchi rapper per trovare nuove strade, come Sfera Ebbasta ed Ernia, tutti molto bravi, con idee e linguaggio propri.»

C’è anche Jovanotti, con un’energia dirompente, travolgente di entusiasmo. Una vera e propria ventata di allegria.

«“L’allegria” era solo nella testa di Jovanotti che aveva questo pezzo e che forse pensava di farlo lui, con un arrangiamento già pronto di Rick Rubin. Invece, Lorenzo mi ha chiamato e mi ha detto: “Senti, ho un’idea. Ho questo pezzo, lo vorrei fare io ma è meglio affidarlo a te, perché hai la faccia più giusta per dire queste cose in questo momento.”. Ho sentito che era un pezzo un po’ diverso dai miei, con delle sonorità differenti, necessità di adattamento a una metrica musicale per me non abituale… ma mi è piaciuto molto. “Facciamolo subito!”. E due giorni dopo ero a Milano a registrare, un po’ preso in contropiede mentre Jovanotti già pensava a mandarlo alle radio. Lui è travolgente col suo entusiasmo.»

L’ottimismo è il profumo della vita, ammonisce il poeta Tonino Guerra.

«L’allegria è di tutti, è una necessità di ognuno. Questo pezzo è stato un regalo bellissimo. Nella mia vita ho avuto tante fortune e ci aggiungo anche questa canzone perché mi dà la possibilità, dopo due o tre anni senza incidere, di ripresentarmi al pubblico, in questa maniera e in questo momento. Davanti a questo squarcio di speranza che abbiamo davanti.»

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