Giganti verdi

DI MARINA CIANCONI

In questo periodo di Natale torniamo a ricordarci delle piante, in particolare di Pini e Abeti che ci fanno da cornice addobbati a festa con tante lucine colorate che li abbracciano e ninnoli appesi ai loro rami, magari circondati da fiocchi di neve in paesaggi montani e suggestivi. Ma le piante sono ben altro. Almeno per me.

Le piante hanno il grande potere di chiamare la mia mente e il mio spirito attraverso il loro semplice esserci, il loro stare, fisse ma non ferme, e tutte le loro straordinarie capacità adattative ad una vita apparentemente immobile e fortemente tenace mi riallacciano ad un’idea di grande creatività e trasformazione di se stesse nella lotta per la propria esistenza che non è affatto inferiore a quella “movimentata” di noi animali, anzi.

Loro ne sanno più di noi in fatto di esistenza e resistenza, la loro presenza sul pianeta ci precede di tanto ed è chiaro che in qualche modo e in tutto questo tempo le piante hanno sviluppato forme di comunicazione tra loro e poi con noi, animali. Per questo accanto a loro ci sentiamo bene. Perché in qualche maniera “ci parlano”. Qualche mese fa, era estate, decisi di fare una passeggiata in un bellissimo giardino di città che non avevo mai esplorato.

Mi capita di sentire la necessità di cercare grandi alberi e così faccio due passi nelle nostre belle ville cittadine dove la natura, a suo modo, ancora regna sovrana. Il giardino aveva molti alberi, cespugli a varie altezze, fiori e prati. Così mentre camminavo mi guardavo intorno, rallentavo il respiro e mi riempivo di “verde”. I nostri pini (Pinus pinea), quelli mediterranei o pini domestici, svettavano sicuri su altezze considerevoli, con la chioma di un bel verde scuro posta a mo’ di ombrello sopra le teste dei passanti. Le loro cortecce caratteristiche dal colore rosso-mattone alternato ad un grigio più invecchiato mi facevano pensare a quanto estro abbia avuto la mente che li ha generati, la mente della natura.

Per me sono opere di un’arte sopraffina e inarrivabile. Li guardavo, li ammiravo nella loro bellezza così stilizzata, colonne che puntano dritte verso l’alto. Che senso di pace, quasi di divino! Gli alberi tutti, nelle loro diversità, mi rasserenano. Penso a quanta energia vi scorre dentro, quanto la loro linfa sia un torrente di grazia che ci ha consentito di esistere, di respirare! Mi sono seduta su una panchina sotto l’ombra di un grande Oleandro rosa (Nerium oleander) e, come ho girato lo sguardo, mi sono innamorata.

Un gigante silenzioso si ergeva possente e sicuro a pochi metri da me. Un Re, sua altezza il Cedro del Libano (Cedrus libani). Se ne stava lì come un gigantesco candelabro, poggiato sulle sue enormi radici, con il tronco ampio e robusto che ne faceva trasparire l’età avanzata ma per nulla vecchia nel mondo longevo delle piante. Una moltitudine di grossi rami contorti si dipartivano come una raggera casuale da quella fortezza di legno centrale, erano coperti di fronde che cadevano come leggeri veli verdi tessuti da miriadi di piccoli aghi radunati a ciuffetti.

A tratti qua e là sbucavano le caratteristiche pigne, che sembravano muffins appoggiativi sopra da un esperto pasticcere, quelli più giovani di un tenue e luminoso verde chiaro risaltavano rispetto a quelli più maturi che si tingevano di un bruno scuro, destinati a divenire più legnosi per poi rompersi e lasciare liberi i semi.

Questo è ciò che accade nelle piante cosiddette Gimnosperme, antiche presenze, in cui i semi non crescono all’interno di un ovario, ma in strutture chiamate strobili. Le pigne sono gli strobili femminili maturi. Come tutto era perfetto in questo essere vivente! Mi si è smosso qualcosa dentro nell’ammirarlo, scendeva una lacrima di gioia pura. Il mio sguardo non lo comprendeva tutto, era troppo grande!

Ero costretta a vagare con gli occhi nel suo ampio spazio per poterlo abbracciare tutto. Questo è uno dei tanti attimi di limpida felicità che mi ha concesso la natura. Questo Cedro, questo essere vivente così speciale, sotto la cui immensa chioma passava la gente senza neppure accorgersi di lui, quasi fosse una carta da parati, bè a me dava un senso di sicurezza, di primordiale conforto, sentivo un’appartenenza lontana, quasi come un padre sotto il cui abbraccio ti senti nel posto più sicuro del mondo.

Siamo circondati dalla magnificenza e dal mistero della vita, ma i più di noi neppure ci badano. Passiamo distratti, ciechi e sordi vicino a veri spettacoli viventi la cui sola esistenza è ricchezza e fonte a cui dissetarsi. Eppure non ci accorgiamo di loro.

Il Cedro del Libano è una pianta che può raggiungere e superare anche i 40 metri di altezza, originariamente vive in zone montane anche fino a 3000 metri di altitudine, la sua culla è nell’Asia minore, in Libano, Turchia, Siria. Appartiene alla stessa famiglia dei pini, degli abeti, dei cipressi, quella delle Pinacee. In lingua inglese il suo nome comune è “Tree of the Lord” (Albero del Signore) e non mi sorprende, tanto le sue dimensioni generino in me rispetto, un rispetto quasi sacro. Sul Monte Libano sopravvive un residuo di foresta di Cedri del Libano chiamati i “Cedri di Dio”, oggi patrimonio dell’UNESCO. Il Re mi ha meravigliata e ho vissuto questa meraviglia come un dono, mi ha stupita, incantata, mi ha trasportato lontano da me. Tutto il suo essere era una presenza così forte, profonda, immensa che riuscivo a pensare solo “grazie”!

Mi sono alzata e gli sono andata incontro, sentivo l’impulso di toccarlo, di stare sotto la sua immensa chioma. Mi sono avvicinata al tronco rugoso, ho posato le mie mani su di lui, quasi fosse una preghiera. La sua corteccia rugosa e dura soddisfaceva il senso del mio tatto, quasi che le mie mani da sole potessero “vedere” i suoi tanti anni, il suo vissuto così silenzioso ma potente. Poi ho alzato lo sguardo, tra le sue infinite e forti braccia non riuscivo a scorgere la cima, era altissimo. Mi sono sentita piccola come una formica.

Tutto il suo essere mi ha completata, come se la sua energia vitale mi venisse trasfusa. Sono rimasta lì sotto la sua protezione, ho raccolto una delle sue pigne caduta a terra e ormai svuotata dei semi, l’ho portata via con me. Si era fatto tardi, i doveri della mia vita mi hanno risvegliato dal sogno. Ho dovuto congedarmi dal Re e dagli altri giganti.

Ho sentito un pizzico di amarezza in qualche angolo del cuore, quasi lasciassi un amico, anzi è così, lo è diventato in una manciata eterna di minuti che ho rubato alla frenesia della mia vita, per assaporare una pura gioia di essere viva, di resistere, quanto il Re. Ciao gigante buono, noi siamo fatti della stessa materia, ma non quella dei sogni, la materia instancabile ed imprevedibile che plasma la vita. Io mi congedo da te per un po’, ma tornerò a trovarti perché tu ed io sappiamo pensarci, forse ti ho cercato, forse mi hai chiamato, fatto sta che oggi, nelle nostre diversità, ci siamo parlati.

©® Copyright foto di Marina M. Cianconi

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