DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN
Giovanni Boldini deve molta della sua fama alla propria capacità di ritrarre soggetti femminili nei fasti della Ville Lumière di inizio Novecento.
Ritrattista estremamente ricercato – i personaggi dell’alta società aspiravano ai suoi particolari ritratti – si dice fosse in grado di esercitare una particolare influenza sulle donne protagoniste dei suoi quadri.
Una sorta di accettazione psicologica, provocava, da parte delle protagoniste, il profondo desiderio di farsi ritrarre. Infatti, non sentendosi giudicate, al contrario incoraggiate a mettere a nudo le proprie personalità e sensazioni, vivevano questi momenti di posa in piena libertà, al di là di critiche e convenzioni, finalmente sollevate dal giogo ipocrita del perbenismo.
Colui che potrà fregiarsi del titolo di maggior interprete italiano della Belle Époque, in compagnia di artisti del calibro di John Singer Sargent e James Tissot, vive di quella latente inquietudine che pervade il secolo in questione, attanagliato tra il passato, pur rappresentato dall’Ottocento, secolo d’oro della modernità dall’omonimo titolo di Philippe Daverio, ed un presente incipiente a tratti sperimentale, che l’artista desidera cogliere grazie alla propria geniale abilità di coglierne emotivamente gli evidenti segnali.
Ed ecco – la definizione di Ardengo Soffici, il quale ne sottolinea quel lampo di vita irrompe dalle sue opere, pur non risparmiandogli alcune pungenti critiche, che si riveleranno tuttavia la sua fortuna – che l’autore ferrarese sceglie di operare in maniera diversa rispetto ad una attendibile, comprensibile ordinarietà: non si accontenta della semplice perfezione di una sobria rappresentazione, preferendo altresì indagare psicologicamente i soggetti ritratti, che appaiono a quel punto isolati.
Denudati nell’essenza di una potenziale idolatria che li colloca fuori da tempo e spazio, i cui elementi caratterizzanti, dagli abiti allo sguardo, riportano tenacemente ad una insopprimibile realtà, ma difficilmente riescono ad ancorarne quell’aspetto sottinteso bloccato in una sorta di inarrivabile limbo.
Boldini traccia velocemente i segni di un momento fuggevole e irreale, che rinuncia a delineare confini per aprire scorci – non a caso il suo stile verrà accostato a quello delle avanguardie futuriste – talvolta motivo di pressante insoddisfazione, tanto che le numerose committenze private difficilmente troveranno riscontro in esposizioni pubbliche adeguate.
Rifugge occasioni e ambisce a sperimentazioni, ansiosamente coinvolto in un continuo vortice di agognati virtuosismi tecnici, perennemente alla ricerca di contesti sempre più neutri in contrasto con pose vitali ed energiche.
Georges Coursat riscontrava, in alcuni suoi dipinti, i sintomi di un’epoca di nevrosi, indubbiamente caratterizzati da eventi destinati a cambiare per sempre la storia, resi attraverso tremanti visioni sospese tra calore e brividi, mentre l’atmosfera rimane, come consuetudine dell’autore estremamente raffinata, caratterizzata dai minimi dettagli e dominata da quel prezioso pastello, elemento ricorrente del Boldini, elegantemente lucido, mai stonato.
E allo stesso modo in cui, nel 1888, presenta il Ritratto di Emiliana Concha de Ossa – modella tra le sue favorite, della quale artisticamente si invaghisce – all’Esposizione Universale di Parigi, evento mondano per eccellenza in cui conquista il primo premio, mostrando finalmente al mondo l’immagine di una donna realmente nascente, consapevole dei principi borghesi dell’epoca ma altrettanto cosciente di una nuova femminilità da esibire, Boldini non esita, negli anni successivi, a ritrarre l’audace e discussa nobildonna Luisa Casati Stampa.
‘La sulfurea marchesa’, dalla superba definizione della scrittrice Daniela Musini nel suo libro Le Magnifiche, con tanto di levriero al guinzaglio ed inguainata in uno splendido abito nero di sontuosa eleganza, fissa l’osservatore con inaudita sfrontatezza, forte di pervicaci intenti inesorabilmente volti a strutturarne un’immagine di implacabile Femme fatale, la stessa che, effettivamente fatale, risulterà a lei stessa, colpita da stravaganti atteggiamenti sconfinanti in insostenibili eccessi.
Magnetica ed esoterica come le sue passioni, Boldini ne coglie il suadente fremito dell’irrinunciabile bisogno di stupire, in grado di corteggiare e sedurre praticamente chiunque, D’Annunzio compreso, in un continuo profluvio di infusa teatralità; tra guizzanti sete ed avvolgenti piumaggi, in cui lo stesso cane, opportunamente agghindato, appare inglobato, per un’atmosfera noir di clamorosa sensualità…
Giovanni Boldini (1842-1931), La marchesa Luisa Casati con un levriero, 1908, olio su tela, Collezione privata
Immagine: web
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