Grazia Deledda, Marianna Sirca

DI MARIO MESSINA

<<Sì, Marianna era bella, fiera e ricca>>.
Con queste parole, a pag. 196, la Deledda incasella la sua protagonista.
Una donna cui, sin dall’ inizio del racconto, veniva richiesto dalla società di obbedire. Nient’ altro che obbedire.
<<Marianna, dà retta a chi ti vuol bene. Obbedisci>> (pag. 3).

E proprio in virtù di questa obbedienza <<[…]era stata messa come un uccellino in gabbia nella casa dello zio>> (pag.4).
Ma lo zio sacerdote è morto.
È l’eredità a donarle una nuova condizione.
Che nella convinzione della società del tempo sarebbe dovuta essere solo apparente.

Con il padre ed il cugino maschio a decidere, di fatto, per lei.
Ma Marianna non lo accetta più.
Reclama una libertà sostanziale.
Soprattutto in amore. Innamorandosi di un giovane che aveva dovuto intraprendere la via del banditismo pur di sottrarsi alla giustizia borghese.

Una scelta straordinariamente coraggiosa perché autonoma ed al di fuori di ogni logica.
La Deledda, Premio Nobel non a caso, ha l’ardire di scrivere questo romanzo, non dimentichiamolo, nel 1915.
Marianna esprime, così, una natura ribelle.
Solo la natura le trasmette una idea di libertà.

<<[…] la sua grande casa di Nuoro, umida e scura, col portone ferrato e le finestre solite, tornava ad apparirle come una prigione>> (pag.39).
Sono proprio le descrizioni naturalistiche a dirci quanto la Deledda fosse organica rispetto al suo territorio.
Grande rilevanza, infatti, viene data a scene ambientate in ampi spazi aperti dove la “tanca”, il possedimento terriero, diviene la misura di tutte le cose.

Particolarmente interessante è la assidua presenza della luna come elemento volto ad illuminare molte scene descritte.

Perché quando un amore ed una vita non possono essere vissuti alla luce del sole è alla luna che bisogna chiedere conforto.

Immagine tratta dal web

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