Guglielmo Ciardi, Mattino di maggio

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Nel periodo che va dalla seconda metà dell’Ottocento alla prima metà del Novecento, la pittura italiana si ritrova in un momento piuttosto particolare. L’arte non può prescindere, come è logico, dal sociale, e saranno molti gli eventi in grado di incidere pesantemente su di essa.

L’Italia, tra eventi risorgimentali, guerre d’indipendenza ed insurrezioni popolari, è alla ricerca di un’identità unitaria, pur non ancora raggiungibile: lo stesso linguaggio pittorico, influenzato dai medesimi sentimenti, finisce per essere limitato in ambiti provinciali, cosicché ogni regione, quando non singola città, assume una propria dimensione artistica, distaccata dalle altre.

A Venezia, complice un contesto peculiarmente sui generis, si sviluppa un vedutismo connotato in senso fortemente aneddotico: uno dei maggiori esponenti della corrente, Giacomo Favretto, legge ed interpreta la suddetta tendenza attraverso il gusto della pittura olandese sia antica che moderna.

Guglielmo Ciardi, coevo del Favretto, pur su una lunghezza d’onda simile, preferisce riferirsi ai vedutisti del 1700, beneficiando dei propri contatti con le correnti artistiche più innovative, tra cui quella dei Macchiaioli toscani di Giovanni Fattori.

In questo modo giunge a rappresentazioni, sia di Venezia che di altri contesti più simili all’ambito macchiaiolo, decisamente diversi, liberi dall’accademismo, ed in grado di carpire la reale atmosfera di città e paesaggi.

Ne scaturiscono favolose vedute lagunari, che provvederanno a farlo considerare il maggior esponente della pittura paesistica veneta.
Guglielmo Ciardi riesce in qualcosa di originale, decisamente non semplice: svincolato dallo scolasticismo accademico, rielabora le atmosfere locali attraverso nuove vedute.

I cromatismi ne risultano totalmente alterati, quando non vagamente surreali, ma tali da regalare, in questo senso, alcune tra le più alte espressioni vedutistiche.
Mattino di maggio, in ragione sia dell’esecuzione che delle caratteristica luminosità che la contraddistingue, pare riprendere le atmosfere di Raffaello Sernesi e Giuseppe Abbati: concentrate sul caldo, assolato mostrarsi di costruzioni in attesa di un ritorno, sovente rappresentate non tanto in funzione di sfondo alla figura che vi si avvicina, quanto incorruttibile punto di riferimento ad una vera e propria ricomparsa.

Il tutto finisce per assumere, oltre ad una inconsueta dimensione monumentale, il reale segno e disegno di qualcosa di inevitabilmente crepuscolare, non tanto per l’ora quanto per la circolarità ripetitiva di una zona crepuscolare di ‘sclaviana’ memoria.

Come ne La zona del crepuscolo, episodio del fumetto Dylan Dog, di Tiziano Sclavi, dove ogni giorno e gesto si ripetono quotidianamente, inscalfibili e immutabili, tema peraltro fortunato sia in letteratura che in musica fin dai giorni uguali ai giorni di Riccardo Cocciante, nel brano Se stiamo insieme…

Guglielmo Ciardi ( 1842 – 1917 ), Mattino di maggio, 1869, olio su tela, Venezia – Galleria d’Arte Moderna Ca’ Pesaro
Immagine: web

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