I ricordi non passano mai

DI GIO LORELEY

Una cosa che ricordo bene di quando trascorrevo il lungo tempo della mia infanzia dalla zia vecchiarella, perché lì dovevo stare e lì ho imparato a cavarmela da sola, tra i filari di pomodori da raccogliere o a fare le pulizie nella casa atavica di campagna, con la cucina di muro annerito dall’antico odore di bruciato,
una cosa che ricordo bene era
la casa esposta al bordo di una lunga stradina sterrata, un serpentello chiazzato dall’ombra di arbusti e fichi pendenti.

Case di contadini operosi, assertivi fin dalle prime luci dell’alba di ogni giorno.
Le mani ruvide, cotte di sole e di sudore che disegnavano nell’aria saette, rombi, parabole. Invisibili sciabole afferravano i dragoni dalle lingue di fuoco che al vespro crepavano tra gli sterpi della ceppaia.

Una cosa che ricordo bene di quando si sudava sotto il solleone è la voce della vecchiarella: “wueee vuttamm e’ mman” e tiramm o’ cap a terra!” e riprendevano la danza le mille mani ributtate al vento perché quando le “chiandimme” di pomodori arrivavano ad una certa altezza, bisognava sostenerli con un filo di ferro attaccato ai pali e, tenendo teso il filo dall’altro lato del solco, anche io dovevo alzare e tirare forte, così che si tenessero tutte le piantine dritte.
O’cap era l’inizio del filo, ad ogni solco.

Così, ancora oggi, al capoverso di ogni mia giornata, “mi tiro o’ cap a terra”.
Raccolgo il mio operato,
raccogliendomi nel dimenticato.

Ma i ricordi non passano mai, stanno con noi.

©® Copyright foto di Gio Loreley

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