DI ANDREA MARINO
Facciamo memoria di un intellettuale di grande valore e rigore, lucido protagonista della recente storia sociale, culturale, politica del nostro Paese, deceduto il 20 Novembre 1989. Ancora ci rattrista il grande vuoto che Leonardo Sciascia ha lasciato e che si avverte, soprattutto in un momento storico travagliato, angoscioso, buio come il nostro, nella difesa e riaffermazione di valori quali attenzione agli ultimi, tolleranza, libertà, giustizia giusta.
Claude Ambroise annota che Sciascia, uno dei più grandi scrittori del ‘900, ci ha consegnato una sterminata e varia produzione letteraria, ha attraversato molteplici generi: il racconto breve, i saggi, i racconti, il pamphlet, con la sua carica polemica. E poi testi per il teatro, non meno importanti rispetto al resto della produzione, articoli per giornali e riviste. La sua attività creativa, poi, fu sempre accompagnata da quella, intensa e proficua, di organizzatore culturale, di editore, svolta soprattutto nella giovane casa editrice Sellerio di Palermo.
Siciliano nostalgico, universitario da poco trapiantato a Milano, avevo scelto lui e la sua opera come argomento della tesina che dovevo preparare per l’esame di Letteratura moderna e contemporanea, e così, nella primavera del 1968, approfittando della frequentazione della mia insegnante di lettere del liceo con la sua famiglia, l’ho incontrato a Palermo, nella sua abitazione stracolma di libri (conservo gelosamente la copia di A ciascuno il suo con dedica).
Godeva già di grande considerazione in virtù del successo dei due romanzi, Il giorno della civetta (1961) e A ciascuno il suo (1966), ma, in quella occasione, lamentava la scarsa attenzione che allora il mondo italiano della critica e della cultura mostrava nei suoi confronti, a differenza di quello francese che, da tempo, gli dedicava apprezzabili contributi. Il rammarico più grande che confessava, però, riguardava l’essere riconosciuto in Italia, in modo riduttivo, come “mafiologo” e non come scrittore. E infatti dichiarava nel 1982: “Non c’è nulla che mi infastidisca quanto l’essere considerato un esperto di mafia o, come oggi si usa dire, un mafiologo. Sono semplicemente uno che è nato, è vissuto e vive in un paese della Sicilia occidentale e ha sempre cercato di capire la realtà che lo circonda, gli avvenimenti, le persone. Sono un esperto di mafia così come lo sono in fatto di agricoltura, di emigrazione, di tradizioni popolari, di zolfara: a livello delle cose viste e sentite, delle cose vissute e in parte sofferte…”.
Nelle sue opere ha svolto continuamente una severa analisi della realtà umana, culturale, politica, sociale, siciliana prima, italiana poi. Si è impegnato in una costante ricerca e difesa della giustizia e della verità, nella denuncia di ogni forma di potere fondato su intrecci scellerati e sulla violenza attraverso lo svolgimento di alcuni temi ricorrenti – il camaleontismo e il cinismo della politica, la corruzione, la collusione mafia-politica, il trasformismo degli aristocratici e dei piccoli borghesi, il dramma dell’emigrazione, l’ignoranza.
Riteneva, e sempre lo ha testimoniato nella sua attività, che lo scrittore fosse un uomo che rappresenta e fa vivere la verità: “Il suo problema, il problema di Sciascia, è quello della verità”, scrive Ambroise, in quanto la vera letteratura, per lui, si distingue dalla falsa letteratura solo per l’irrinunciabile senso della verità che la fonda.
È stato, scrive Roberto Andò, “profeta di una letteratura che ha inseguito la verità senza tradire il senso ambiguo e proprio che le appartiene”. Ma non si considerava, per questo, né un filosofo né uno storico, ma solo uno che coglieva istintivamente la verità: “Per quanto mi riguarda”,dichiara a Marcelle Padovani: “io scopro nella letteratura quel che non riesco a scoprire negli analisti più elucubranti, i quali vorrebbero fornire spiegazioni esaurienti e soluzioni a tutti i problemi”. A corollario adotta sempre una scrittura estremamente chiara, precisa, di tipo classico, presta attenzione “alla parola, alle parole”, senza, comunque, “varcare quel confine, posto da Pirandello nella letteratura italiana, tra scrittori di cose e scrittori di parole.
La Sicilia, martoriata nella sua realtà umana, sociale, politica, economica dalla nefasta presenza mafiosa, fondamento tematico ricorrente nei suoi primi racconti – Le parrocchie di Regalpetra (1956), Gli zii di Sicilia (1961) -, progressivamente, nel suo universo narrativo, si pone come vera e propria metafora dell’Italia tutta. E così, poco alla volta, egli si è sentito non più solamente siciliano, ma piuttosto uno scrittore italiano che conosce bene la realtà della Sicilia, convinto che la Sicilia offre la rappresentazione di tanti problemi, di tante contraddizioni dell’Italia, tanto da poterne costituire la metafora (La Sicilia come metafora). Nel romanzo Il giorno della civetta, infatti, al protagonista, il capitano dei carabinieri Bellodi, l’isola si presenta come un paese “incredibile”, “il paese della lupara”, in cui sembra potersi pericolosamente identificare tutta l’Italia: “Incredibile è anche l’Italia… Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia”.
Lo stesso tema della mafia, ma una mafia ormai politica, e la medesima tecnica del romanzo poliziesco, presenta A ciascuno il suo. Si assegnava il ruolo, che ha svolto con grande determinazione e non comune onestà e autonomia, di svelare, rendere manifesto il dato di spregiudicatezza su cui si fonda ogni potere: “Il compito di uno scrittore”, dichiarava, “è quello di guastare il giuoco. L’enorme gioco a incastro in cui il potere, in ogni parte del mondo, si realizza”.
E a quanti gli facevano notare che i suoi libri erano ‘premeditatamente’ destinati a suscitare polemiche di ordine politico oltre che letterario, rispondeva: “Sì, anche. le polemiche non mi dispiacciono, finché si parla e si discute vuol dire che ci sono idee in circolazione. La polemica più grossa è nata per Il contesto (1971) e mi ha soddisfatto. Quando è stato discusso seriamente perché è stato discusso seriamente: quando è stato attaccato scioccamente perché l’imbecillità mi diverte, mi diverte molto”.
Negli anni Settanta e Ottanta pubblica una serie di piccoli libri, del tipo più diverso, dedicati alla ricostruzione di vicende e di fatti di cronaca lontani o vicini: Atti relativi alla morte di Raymond Roussel, I pugnalatori, Il teatro della memoria, La sentenza memorabile, La strega e il capitano, 1912+1, Porte aperte, Il cavaliere e la morte, Una storia semplice.
Profondamente convinto dell’urgenza di creare nella società le condizioni di sviluppo azzerando ogni forma di corruzione e recuperando una solida dimensione etica, soprattutto in politica, ridotta a mero esercizio di potere, è sempre mosso da una ossessiva attenzione alle vicende contemporanee, che segue con grande carica morale e civile. Partecipa direttamente alla vita pubblica, si impegna in un appassionato lavoro di comprensione e di interpretazione di eventi significativi della vita del Paese (La scomparsa di Majorana, L’affaire Moro), anche attraverso interventi giornalistici polemici e spesso controcorrente (si ricordano in modo particolare quelli sulla mafia, sulla lotta alla mafia e quelli in polemica con Nando Dalla Chiesa, raccolti nel volume, uscito quando ancora era in vita, A futura memoria (se la memoria ha un futuro).
Questo suo ‘interventismo polemico’, ‘pasolinianamente eretico’- rivendicata la consonanza con Pasolini “Fraterno e lontano… Di una fraternità senza confidenza, schermata di pudori e, credo di reciproche insofferenze” -, sempre sostenuto, però, come accennato, da una forte tensione etica, in un contesto profondamente marcato da corruzione e servilismo a tutti livelli, dalla giustizia malata, dall’imbarbarimento politico e sociale, gli procura consenso, ma anche una diffusa e astiosa insofferenza, senza scalfire, peraltro, il suo costante e fattivo impegno per contribuire alla costruzione di un mondo più libero e giusto: “Di me come individuo, individuo che incidentalmente ha scritto dei libri vorrei che si dicesse: «Ha contraddetto e si è contraddetto», come a dire che sono stato vivo in mezzo a tante «anime morte…»
Da Orizzonte39
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