Il banale

DI ANTONIO MARTONE

 

Hannah Arendt aveva ragione: il male del nostro tempo non è affatto demoniaco, né costituisce il frutto perverso di menti particolarmente raffinate.
Il male del tempo attuale è “banale”!

Vedo il male sul viso del burocrate che per seguire le sue “procedure” condanna a morte un malato; lo identifico nei gesti della bella signora cretina “col cane” che fa shopping protetta dal denaro dell’amante; lo intuisco nelle scelte del politico disposto a tradire qualsiasi principio morale pur di conservare o aumentare il suo sporco potere; lo percepisco nelle immagini ciniche e truffaldine della pubblicità; lo scorgo nella codardia dell’elettore che vota un qualsiasi imbonitore: ha promesso di non fargli pagare la tassa sulla birra o magari ha giurato e spergiurato di fargli avere qualche decina di euro in busta paga; lo noto nelle masse abbrutite davanti agli schermi televisivi o dei computer, ipnotizzati da personaggetti buffoneschi i cui budget – messi insieme – potrebbero ben salvare i bilanci di molti Stati africani.

Davanti a queste realtà, e a tante altre, come non essere certi che il male sia, effettivamente, banale?
Il guaio, però, è che da un male banale scaturiscono drammi niente affatto trascurabili. Il nostro tempo, infatti, è quello in cui i disastri e le peggiori tragedie hanno la loro radice più profonda non tanto nella crudeltà e nell’efferatezza, quanto – appunto – nel banale.

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