Il cappotto di cashmere ( Ricordando mia madre)

DI FLORA BARIN

Innumerevoli ricordi ho di lei eppure, a volte, riaffiorano i più semplici e meno rappresentativi momenti passati insieme.

Lei, mia madre.

Aveva ormai abbondantemente superato gli ottant’anni e andar a far spese insieme mi piaceva.
Facevo più attenzione ai suoi acquisti che ai miei, perché per lei erano un evento

Veniva da una generazione che poneva molta importanza agli acquisti di vestiario, un cappotto doveva durare per un lungo periodo.
I vestiti che sceglieva, sempre classici, dovevano essere di buona qualità perché avevano un costo e il denaro aveva la sua dignità: era il corrispettivo di tanto lavoro, di tanto sacrificio.

E con questa saggia filosofia di vita mi prestavo ogni volta a consigliarla per il meglio, lei apprezzava e si fidava dei miei suggerimenti.
Così tra tanti cappotti tastati e meticolosamente scrutati, ne scegliemmo uno di qualità ottima, morbido al tatto, di un bel colore biscotto

La commessa, forse per giustificare l’alto costo del capo, cominciò ad esporre tutti gli aspetti dalla provenienza della lana di cashmere, alla lavorazione e cura della filatura. Mia madre la guardava severa, senza esprimere un cenno di consenso.

“L’importante è che mi stia bene e che sia un buon capo”, sentenziò. E bene stava davvero: i suoi occhi azzurri ed il sorriso di approvazione che si riflettevano allo specchio, riuscirono a svelare una dolcezza che le dure vicende della vita non erano riuscite ad offuscare.

Mi faceva tenerezza, mia madre, e sollecitava in me un atteggiamento di protezione.

Il suo cappotto nuovo lo teneva con cura nell’armadio, stando attenta che le tarme non lo bucassero. “La lana è delicata e mai va conservata senza un tarmicida”, diceva.

Le regalai, nell’occasione del successivo Natale, sapendo di farle cosa gradita, un foulard in raso di seta. Lo portava con il cappotto nuovo, annodato come una sciarpa

Con il tempo diventò più piccola, sembrava che il foulard si fosse ingrandito. Preferiva ormai portarlo sulle spalle, sopra il cappotto, diventato grande pure quello, come fosse uno scialle a punta, facendo un morbido nodo sul davanti.

Ero contenta di vederla così coperta quando doveva uscire nella stagione fredda.

Mia Madre.
Ogni tanto la penso.
E’ stata la vista del suo foulard a portarmi indietro nel tempo.

Ricordo che qualche volta mi irritavo un po’ con lei perché i figli maschi avevano sempre la precedenza ed erano privilegiati in tutto, guai a disturbarli o a chiedere loro qualche aiuto, avevano i loro impegni ed era meglio che risolvessimo noi i problemi che si presentavano.

Proprio così diceva!

Se riceveva un favore da qualcuno, era riconoscente.

Noi, figlie femmine, eravamo le ultime ad essere considerate in questo senso e un po’ ci mortificava, non ne parliamo per se stessa, poche volte si concedeva qualcosa.

Ora capisco il suo comportamento e mi rammarica non averlo recepito subito.
Lei riteneva noi, sue figlie, l’espansione di sè e, non potendo accontentare tutti, noi eravamo le ultime nel gratificarci, seppure le prime ad aiutarla, proteggerla, correre da lei nei momenti di bisogno.

Un meccanismo sottile che, riflettendoci, dimostrava ancora di più la sua natura semplice e coerente che si esprimeva molto di più con i fatti che non con le parole.

Mia Madre!

A quarantacinque anni rimase sola con i suoi cinque bambini!

Il cappotto di cashmere faceva parte delle poche cose belle e confortevoli che si concesse e lo apprezzò davvero.

©® Copyright opera artistica di Flora Barin Titolo: RICORDANDO DI MIA MADRE – acquerello cm.38×45 carta gr.300

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