Il ‘caso Brusca’ e la legge sui pentiti che divide la politica

La legge sui pentiti fa tornare in libertà il Brusca. E la politica “esplode”

Figlio del Boss di Cosanostra Bernardo Brusca, soprannominato “Scannacristiani” per la ferocia, condannato per oltre un centinaio di omicidi, Giovanni Brusca , detenuto a Rebibbia dal 20 maggio 1996 ha ottenuto la libertà quale “collaboratore di giustizia” sulla base di una legge voluta dai magistrati Antonino Scopelliti e Giovanni Falcone, quest’ultimo beffato dal suo stesso destino, poiché il Brusca è l’uomo che ha voluto la morte del magistrato, insieme alla moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta.

Tra i suoi crimini si annoverano la strage di Capaci, oltre ad essere uno dei mandanti della strage di Via D’Amelio dove morì il giudice Paolo Borsellino. Anche la morte di Giuseppe Di Matteo, 15 anni , strangolato e sciolto nell’acido, è avvenuta per sua volontà. Crudele, spietato, ha più volte detto di non ricordare neppure i nomi di tutte le sue vittime. Poi la scelta di parlare con i magistrati, il bluff dell’esordio seguito da decine di migliaia di pagine di verbali con nomi, fatti, legami tra mafiosi politici e affari.

Il ritratto di un criminale che rende assolutamente comprensibile il profluvio di dichiarazioni indignate dopo la scarcerazione per fine pena: 25 anni di reclusione per chi ha fatto la guerra allo Stato. La liberazione di Brusca «è stato un pugno nello stomaco che lascia senza respiro e ti chiedi come sia possibile».

E’ scandaloso, ma tutto si spiega- dalle Istituzioni- con l’applicazione della legge n.82 del 15 marzo 1991 per la prima volta in Italia, introduceva un sistema di protezione per tutelare e assistere i collaboratori e i testimoni di giustizia che fossero in grave pericolo per le proprie dichiarazioni rese agli inquirenti, estendendo questa protezione anche ai loro familiari e a tutti quei soggetti che rischiassero la vita a causa dei rapporti intrattenuti con i soggetti protetti. La legge prevedeva anche il programma speciale di protezione, contenente le misure tutorie, assistenziali e di recupero sociale straordinarie.

PRECEDENTI LEGISLATIVI– La prima fu la legge Cossiga (n.15 del 6 febbraio 1980). Concedeva un premio ai terroristi che parlavano. Ne beneficiarono, tra gli altri, Patrizio Peci e Antonio Savasta. Fu l’inizio di una nuova stagione. Giovanni Falcone pensò che fosse un’arma insostituibile per la lotta alla mafia che prosperava protetta dall’omertà. Dal giorno della sua entrata in vigore le collaborazioni sono arrivate. E anche di peso. Tra queste quella di Tommaso Buscetta che ha dato un colpo fondamentale alle cosche e ha determinato in parte anche il buon esito del maxiprocesso. Ci sono anche incidenti di percorso come il depistaggio sulla strage di Via d’Amelio, reso possibile dalle false dichiarazioni del pentito Vincenzo Scarantino.

Ma nel bilanciamento tra il costo dei benefici concessi ai mafiosi, e i risultati ottenuti nella lotta alla criminalità, il tempo ha dimostrato che Giovanni Falcone aveva visto lungo. Il tempo medio di permanenza nei programmi di protezione è di 6,2 anni, ma solo il 20 per cento della popolazione protetta ha una permanenza nei programmi di protezione che supera i dieci anni.

LA REAZIONE A FREDDO DI SANTINO DI MATTEO– ”U verru, cioè il maiale, come chiamavano Brusca, conosceva Giuseppe, mio figlio, da bambino. Ci giocava insieme con la PlayStation. Eppure l’ha fatto sciogliere nell’acido. E questo orrore si paga in vent’anni? Io non posso piangere nemmeno su una tomba e lui lo immagino pronto a farsi una passeggiata. Magari ad Altofonte. O in un caffè davanti al Teatro Massimo di Palermo. Mi auguro di non incontrarlo mai, come chiedo al Signore. Se dovesse succedere, non so che cosa potrebbe accadere”.

da Bluedossier.it

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