Il messaggio nel vento

DI ANTONIO MARTONE

 

Ieri sera, parlando con un amico poeta, ci siamo soffermati su fatti poco noti, accaduti nel corso dell’emigrazione italiana tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.

In quel periodo, donne e uomini talvolta molto piccoli (anche mio nonno è stato fra questi), partivano dai paesi italiani spesso abitati da contadini poveri, per raggiungere le Americhe: sia America del Sud, Argentina, Brasile, sia America del Nord, Stati Uniti e Canada.

La cosa particolarmente significativa e che, soprattutto gli emigranti rivolti verso gli Stati Uniti e il Canada, quasi mai avevano in programma di ritornare – cosi coloro che partivano dai porti italiani venivano salutati e salutavano il paese di provenienza, e i loro stessi familiari, con l’idea che non si sarebbero visti mai più.

In fondo, si trattava di una vera e propria morte – una morte particolare, poiché essa preludeva alla nascita di una nuova vita, magari una vita migliore, e purtuttavia, dal punto di vista del rapporto fra madre e figlio tra padre e figlia, si trattava comunque di un addio che non prevedeva alcuna possibilità di ritorno.

Per molti di loro, anche la comunicazione era difficile: per coloro che riuscivano a scrivere – non dimentichiamo che parliamo di un periodo in cui gran parte degli emigranti erano analfabeti – era possibile affidare qualche notizia a lettere che sarebbero arrivate (forse) moltissimo tempo dopo: non c’era nessuna sicurezza sul fatto che il familiare avrebbe letto quelle lettere.

Altri invece, ed è di questo che mi ha parlato il mio amico poeta, soprattutto donne anziane, usavano un mezzo di comunicazione assai particolare: dopo aver lasciato il centro abitato del proprio paese, salivavano sulla parte più alta della montagna – e questo accadeva nei giorni particolarmente ventosi.

Non di rado, dunque, sui crepacci della montagna, si poteva vedere uno strano spettacolo: una donna ricoperta di scialli neri, con il viso e la testa completamente nascosti da un fazzoletto, parlava, parlava e mandava messaggi che venivano trascinati via dal vento fragoroso che a stento non destabilizzava il corpo della persona stessa.

Queste anziane donne pensavano che le cose che venivano dette nel vento avrebbero avuto la forza di varcare gli oceani e di arrivare nel nuovo mondo dove sarebbero state ricevute dai familiari.
Questo bizzarro ricordo mi ha fatto venire in mente qualcosa di simile che accadeva quando le donne rimaste vedove – magari troppo presto – ogni sera, dopo aver svolto le attività quotidiane, si recavano sulla tomba del marito scomparso, per raccontare ciò che era successo nel corso della giornata e per chiedere consiglio su come si sarebbero dovute svolgere queste o quelle mansioni.

Noi, noi che viviamo nel mondo della comunicazione; noi che, sostando al piano inferiore, prendiamo il telefono per dire a chi sta al piano superiore di buttare la pasta; noi forse troviamo incomprensibili, quanto lontanissimi, questi eventi accaduti soltanto 100 anni fa. Io credo però sia del tutto impossibile non essere toccati profondamente dalla rievocazione di scene di questo tipo.

Dopo la conversazione con il mio amico, l’immagine di una donna anziana interamente ricoperta di nero, collocata sul punto più alto di una montagna e che, sconvolta dal vento, parla con tenerezza infinita a persone che non vede più da anni, e che forse non vedrà mai più, mi è rimasta addosso e mi ha fatto riflettere, fra l’altro, sulla forza e sulla determinazione degli uomini che mostrano il loro orgoglio anche davanti al nulla e alla morte.

Immagine tratta dal web

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