Il morbo

DI ELISABETTA DE MICHELE

 

L’inizio:
un urlo; agghiacciante, deforme, notturno. Il volto della disperazione. Quelle grida c’erano già da tempo, sommesse, nascoste, soffocate.
Si contorceva. Dal dolore. Dall’orrore soprattutto.
Vermi striscianti sottopelle convivevano con il suo stesso essere e improvvisamente attaccavano un organo, un apparato, un sistema.
Così Valerio li immaginava, così li sentiva, così li vedeva.

“Ti scorrono nelle vene, ti avvelenano fin dentro l’anima”, sussurrava in preda al delirio.
Un tunnel che lo inghiottiva da cui era impossibile risalire, immerso nel buio totale dell’angoscia, in cui si sentiva sprofondare sempre più negli inferi della disperazione, senza appigli, nemmeno quello della speranza di una luce fioca che lo guidasse verso una qualunque uscita.

Un morbo. Il Morbo; giunto da un’altra dimensione, certamente demoniaca, perché di umano in tale condizione non vi era proprio nulla. Il dolore era troppo forte, e non solo nel corpo: Valerio non controllava più nemmeno la sua testa, i suoi pensieri, le sue emozioni… tutto era guidato da Lui, il padre dei vermi, il generatore del male. E non c’erano cure, le aveva provate tutte. Non c’erano nemmeno diagnosi, perché il Morbo era invisibile.

I vermi seminavano disperazione senza lasciare segni del loro passaggio. Uova invisibili di morte e perdizione. La schiusa. L’angoscia.
A volte risalivano fino alla gola, e allora si sentiva soffocare; magari fosse accaduto, magari porre fine una volta per tute alla sofferenza! Invece no, il Morbo lo avrebbe accompagnato fino alla morte, ma non lo avrebbe ucciso: troppo facile, troppa grazia. Una tortura infinita.

Ormai Valerio non provava più nemmeno a lottare contro il suo male; anzi, come spesso accade, lo nutriva. E così i vermi rinvigoriti si moltiplicavano e marciavano fin dentro le sue viscere, contratte, devastate, marcite. E pulsavano, sempre più forte, tanto che Valerio si sentiva il cuore martellare in testa; magari fosse esplosa, spargendo ovunque, come segno di resa, parti di vermi e cervella grigie, viscide, putride…

Invece Valerio ha imparato a conviverci, fa ormai parte di lui. E non solo di lui: il Morbo dilaga. Lo senti fluire nel tuo sangue? Si fa strada dentro di te.
I vermi ripugnanti attaccano chiunque. Un’altra pandemia? LA Pandemia. Precedente. Senza tempo. Non si attacca l’uno con l’altro, ma è nell’aria che respiriamo; un’aria densa, carica di angoscia e desolazione. Agghiacciante vero? Non c’è mascherina che tenga.

La promessa:
Arriverà quell’urlo anche per te. Le senti le grida sommesse che ti accompagnano da tempo? Senti la pesantezza sullo stomaco, il tremore, il non riuscire a deglutire, la dispnea, il dolore al petto, l’agitazione, l’insonnia, l’insoddisfazione? Allora ci siamo. Se ti concentri li puoi vedere anche tu quei vermi sottopelle. Li puoi sentire strisciare. Dappertutto.

Immaginali, sentili, guardali.
I vermi conturbanti turbano la tua esistenza. E tu ti lasci turbare. Ti culli con la loro danza sinuosa; sguazzi nel loro putrido proliferare. E ognuno è preso dai suoi malesseri. Il dolore di ciascuno ci divide anziché unirci. Perché l’aria è pregna di malattia. Di umanità malata. Perdiamo di vista ciò che ci unisce per ciò che ci divide. Fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce.

L’unione fa la forza, quale maggiore rivoluzione? La rivoluzione è pericolosa. Ma per chi? Difficile è rivoluzionare il nostro dentro. La rivoluzione parte dal nucleo. Difficile debellare quei vermi. Non lo vogliamo, vorrebbe dire troppo. Siamo abituati a quest’aria malsana, l’abbiamo creata noi. Siamo abituati al dolore. Se non siamo presi dal Morbo, cosa facciamo? Se non abbiamo la scusa del dolore, dobbiamo darci da fare!

Meglio i vermi. Meglio affrontare il dolore, anzi, meglio arrendersi ad esso. Conviverci. Molto meglio della responsabilità; la piaga dell’esistenza, il macigno di una responsabile umanità, la chimera di una umanità responsabile. La responsabilità di essere. “Responsabile”, vade retro: una parola scomoda che significa ‘facoltà di promettere’. Una promessa va mantenuta, una promessa grava, una promessa ha il suo peso. Non ce la siamo sentita di promettere, non ce la sentiamo. Meglio avere che essere.
Meglio il morbo.

I vermi ripugnanti dell’esistenza misera attaccano chiunque. Un’altra pandemia? La Pandemia. Precedente. Senza tempo. Non si attacca l’uno con l’altro, è nell’aria che respiriamo; un’aria densa, appesantita dall’ego e dalla materialità.
E naufragare è dolce in questo mare.
Meglio il morbo. Meglio lo stress che ci attanaglia, che ci siamo creati con le nostre stesse mani e che nutriamo giorno per giorno.
Meglio avvelenarci di ciò che avveleniamo.
Meglio l’autodistruzione all’esistenza.
Meglio strisciare.
I vermi ci attaccano più da vivi che da morti.
I vermi sui cadaveri sono meno disgustosi. E non li senti.

 

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