IL PESO DEL RETAGGIO CULTURALE. LA LEGGEREZZA DELLE PAROLE

DI ANNA LISA MINUTILLO

 

A cosa fosse associata questa immagine, se ad una pubblicità destinata a prodotti dimagranti, oppure ad altro, poco importa.
Ciò che conta sono le parole usate, così con leggerezza, la stessa che si reclama alle donne, la stessa che non tiene conto di quanto le parole usate debbono essere scelte con cura, le stesse che lasciano segni indelebili nell’anima testimoniando quanto poco si è capito e quanto lavoro ancora ci sia da svolgere prima di riempirsi la bocca con la parola civiltà.
Guardiamo bene questa immagine che risale al 1972, e poniamoci una domanda: da allora cosa è realmente cambiato?

Poco o quasi nulla, molto progresso tecnologico e poca evoluzione della mente.
Molto esibizionismo e poca introspezione
Molta superficialità e tante maschere di perfezione ostentata per difendere facciate traballanti di buon senso.
La donna, sempre lei sul banco degli imputati, sempre inadeguata per il pensiero comune, sempre additata quando cerca di difendere i suoi pensieri, sempre sminuita dalle pubblicità.
Relegata a subire, giudicata quando non accetta di uniformarsi come una “pecora”che segue il branco.
Violentata nel fisico e nell’anima, quasi come se fosse giusto così, quasi come se alcune offese non fossero tali, quasi come se sottovalutare comportamenti inadeguati da parte di chi si ritiene “uomo”, fosse una sorta di mantra che si ripete all’infinito, senza tenere minimamente conto che dall’altra parte c’è comunque un essere umano.

Sei grassa? Ti meriti le corna!, guai se a vederla così fosse stata una donna.
Si sarebbe immediatamente sollevata la scure al suo indirizzo nulla avrebbe potuto giustificare un tale atteggiamento, nulla.
Perché? Perché le parole pronunciate dalle donne sanno sempre di poco, contengono già la sconfitta, la poca credibilità, il quasi nullo riconoscimento.
Arcaiche elucubrazioni mentali appese alla pochezza individuale, e si va avanti, si pretende, si stende non per amare ma per ammazzare e troppe volte questo accade fisicamente, realmente.

Si cerca la “perfezione”quando perfetti non si è.
Si giudica l’aspetto e si considera difetto un piccolo neo deposto sul corpo di chi ti serve ogni giorno.
Uno spaccato del fallimento esistenziale che ci riduce amebe striscianti che popolano un mondo che potrebbe essere meraviglioso.
Parole usate come accusa, che scriveranno la tua condanna per aver fatto cosa poi?, non è dovuto saperlo…
Non è uno sprono a migliorarsi è la giustificazione palese dell’allontanarsi da chi sostenevi di rispettare.
Parole ritenute”leggere”, accettate silenziosamente, che fanno sorridere chi le pronuncia e mortificano chi le riceve.

Parole che ricevute da chi non sufficientemente forte ha deciso di chiudere la partita con la vita privandosene.
Non stupisce ciò che accade ancora oggi, se ci voltiamo un attimo e vediamo quanto si è state bullizzate solo poco tempo fa.
Non stupisce questo agire apprezzato e giustificato del mondo maschile che è poca cosa davanti all’universo femminile.
Oggi diamo la responsabilità al progresso, alla velocità con cui consumiamo i rapporti, alla spasmodica attenzione che dedichiamo al corpo ed al vivere sano.
Le cose non stanno così, queste sono giustificazioni sciocche dietro a cui ci si nasconde per non voler vedere quanto siamo poveri mentalmente.
Non abbiamo educazione sentimentale dagli albori della storia, non abbiamo educazione verso la sensibilità, quella che ferisce quando non la riceviamo ma che non siamo in grado di dare.
La sensibilità, quella che ti permette di vedere le sfumature differenti della vita, quella che ti fa commuovere davanti ad una nascita, quella che ti fa notare le attenzioni che ti vengono destinate, quella che colora giorni di pioggia con raggi di sole quando il tuo sguardo cade su due mani che si intrecciano.

Manca la fisicità, il dare per scontate carezze ed abbracci, le espressioni di un viso che si illumina o che si rattrista quando le difficoltà ostacolano il cammino.
Manca la cultura della comprensione, quella che sottovalutata diventa lo stipendio di chi genera queste situazioni.
Manca la gentilezza, quella che non costa nulla ma dà valore alla vita che viviamo.
Manca il silenzio dei pensieri in un mare di volgarità ed odio gratuiti riversati senza nessuna vergogna verso chi è ammalato e combatte silenziose battaglie mascherate dietro a sorrisi ed attenzioni che, nonostante tutto, trovano sempre il modo di far arrivare.
Manca l’umiltà di riconoscere i propri errori e chiedere scusa.
Una foto, già, in fondo cos’è se non la testimonianza di quanto piccoli siamo, di quanto ancora come donne subiamo, di quanto tutto dipenda ancora malauguratamente da chi ritenendosi superiore resta in mutande davanti alla sua pochezza esistenziale.

 

Anna Lisa Minutillo
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Pubblicato da Anna Lisa Minutillo

Blogger da oltre nove anni. Appassionata di scrittura e fotografia. Ama trattare temi in cui mette al centro le tematiche sociali con uno sguardo maggiore verso l'universo femminile. Ha studiato psicologia ed ancora la studia, in quanto la ritiene un lungo viaggio che non ha fine.