Il piacere di viaggiare per sottrazione

DI MARINA AGOSTINACCHIO

Nella pagina di Repubblica Cultura del 12 Gennaio scorso ho letto un articolo dal titolo “La sottile arte di invecchiare” di Alberto Manguel, scrittore e traduttore argentino naturalizzato canadese.
Avevo ascoltato il pezzo prima di leggerlo attraverso la trasmissione di Rai Radio 3 “Terza Pagina Rai 3” , il programma radiofonico di approfondimento delle pagine culturali.

Non nascondo che l’effetto ricevuto da quanto commentato e letto per radio ha fatto sì che il pensiero sia corso per sentieri di riflessione su un corpo in mutazione, prima scattante, agile, persino temerario, imprudente nell’affrontare e misurare gli ostacoli in cui era solito imbattersi.
Da giovani si agisce per imitazione, si cerca di emulare creature a cui istintivamente ci si apparenta.

E così, io da piccola “leprotta”, come mi chiamavano nella famiglia che ci ospitava a Lavarone, quando ero bambina, correvo giù per i pendii ripidi in pomeriggi estivi con mia sorella Elena e la mia amica Emanuela, senza timore di dovermi sbucciare le ginocchia o rompermi le ossa del collo.

Avevo visto tante volte la scena, a me così cara, degli scoiattoli nei paesaggi veneti dei Colli euganei, che quel mio corpo in rapido movimento mi sembrava un atto di devoto ossequio ai miei amici animali corridori.

Dice Alberto Manguel di avere avuto cognizione di quel sottile passaggio tra un corpo vigile, perfettamente funzionante e la sua mutazione.

Per lo scrittore si trattò di una caduta sul ghiaccio, per me durante l’attraversamento di una strada in automobile. Non avere visto uno Stop all’incrocio di due vie causò un incidente con una motocicletta. Ho guidato ancora per altri sei mesi, ma poi, come se improvvisamente avessi preso consapevolezza di un mio annebbiamento dei riflessi, decisi di cambiare vita.

Ho scoperto così la bellezza delle camminate; ho ancora le gambe abbastanza agili e viaggiare col corpo lungo le vie della mia città o lungo i terreni che costeggiano gli argini mi fa sentire bene con me stessa.

Le “trasformazioni” toccano anche la fisicità. Un corpo giovane che si ammala, o che subisce mutilazioni, perde di elasticità, di vigore e tutto ciò può essere prefigurazione di una scena che si ripresenterà nel tempo, quando la vita non avrà più un orizzonte tanto lontano dinanzi a sé.

Nel momento in cui ci troviamo di fronte a situazioni di limitazione, superata la cortina degli anni d’oro, abbiamo cognizione di una presenza nell’assenza. Voglio dire che noi nella nostra interezza possiamo scoprire di essere ed esserci proprio in quella linea di demarcazione che fa presagire un oltre, un vuoto di sé, uno scompenso.

Come se la nostra identità, nell’uno che nel corpo essa esprime, esiga di avere visibilità, dichiarando il proprio diritto di cittadinanza e nel momento in cui la sua forma risulta deficitaria in qualcosa.

Afferma Manguel che il corpo nel pieno delle sue “performance” non assilla. Penso che sia perfettamente con noi, in noi, siamese con la psiche, con lo spirito, cifra identificativa di ciò che siamo. Ma quando si allentano i muscoli, si raggela un arto, ci assale una sensazione di formicolio a una gamba, a un piede, a una mano, – questo solo per fare un esempio di sintomi che denunciano un venire meno delle prestazioni che davamo per scontate, prima – il corpo si affaccia a tiranneggiarti, “è sempre lì, dice ancora Manguel, “visitatore indesiderato” che disturba il tuo pensiero, i sogni le idee: il nuovo corso della tua vita.

E implora di essere ascoltato, il corpo, con piagnucolii sull’inefficienza di “articolazioni, tendini e di apparato urinario”.
“Lo scricchiolio degli ingranaggi tanto perfetti quanto limitati nel tempo”, mi sono detta in più di un’ occasione, mi parla di un corpo, il mio, che oscilla senza il ritmo di un tempo; ad esempio, mi parla, il corpo, non appena mi alzo la mattina e mi assale un dolore alla schiena, non appena inciampo e cado non riuscendo ad alzarmi velocemente da terra come una volta…
Mi guardo allo specchio soprattutto la sera; occhiaie e borse, corde sul collo, macchie e rughe sulle mani…

E’ il corpo che reclama uno sguardo su se stesso, lo zoom impietoso, il dettaglio ingrandito, la messa a fuoco, il primissimo piano.
“Cerco invano il mio viso che resta aggrappato alla mia mente”, sono le parole dello scrittore. Ma le linee che mi sorprendo a vedere riflesse nello specchio sono un groviglio di segni blu e rossi e assomigliano a quelli impressi con forza sul foglio dalla mia insegnante di Lettere alla scuola media.

E’ lo stesso pugno nello stomaco che risale da ere lontane a invadere questa era di pleistocene, il periodo antecedente al nostro, ma capovolto nei suoi segni disposti sulla linea del tempo, dove mi ritrovo donna attraversata da solchi che a stento raccontano quella che ero.

Faccio mia la lezione di Manguel, ritrovandomi perfettamente in sintonia con quanto dice sui rituali che paiono affacciarsi con vigore in età più avanzata. Anch’io preparo nel dettaglio l’occorrente per la colazione del mattino seguente, dispongo con cura mascherina, scarpe, cappotto, cappello e guanti per l’uscita del mattino seguente, prima organizzando col pensiero gli indumenti da indossare a seconda dei colori (gli amati colori!).

Nel garage che comunica con la casa ho gli appendiabiti fissi e improvvisati, i disinfettanti per le mani, quelli degli abiti e degli oggetti. Nel garage ripongo ogni cosa al rientro dalle uscite, prima di salire in casa.

E poi leggo la sera un libro, la mattina a colazione un altro; in questo periodo viaggio tra “Gli emigrati” di Sebald e “Il precipizio dell’amore” di Mariangela Tarì.

Tutto viaggia in questo tempo sospeso, malvagio, innaturale. Perché è più naturale la vecchiaia dell’aria che respiriamo, tra virus e inquinamento.
Il rituale però ha in sé una scintilla di eternità; Mnguel ricorda come nel castello della Bella addormentata non cambiava nulla, nulla si trasformava, tutto compreso in un’eterna giovinezza.

Sono riti quasi maniacali, quelli che compio di giorno in giorno, lo ammetto; ma da giovane non credo mi sarei comportata come ora. La mia vita adesso viaggia tra progetti, scrittura, lettura, laboratori tra poesia e narrazione in presenza e da casa.

Tutto quanto desidero attuare appare nella mente, avviene durante il sonno, durante il risveglio, durante gli incantamenti mentre svolgo le faccende quotidiane. Tutto appare e prefigura ciò che avverrà in casa, al supermercato, negli anfratti delle lezioni di lettura interpretativa al corso di teatro.

E’ un fatto di età; si congettura, si agisce attraverso un addensarsi e un distendersi di felici pensieri, di benefici pensieri, di pensieri salvavita!

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