Il selfie e l’amore

DI ANTONIO MARTONE

Non c’è dubbio: contemplare la propria immagine è gratificante. Divenire un’icona e diffondersi illimitatamente sul web “calma” dal vuoto interiore e dona, sia pure per un istante, una sensazione di eternità.

Nell’Occidente globalista, la soggettività contemporanea vive all’interno di una modalità espressiva precisa: divenire essa stessa l’icona del mondo. Non ci sono opere d’arte da contemplare, e neppure sentimenti tanto coinvolgenti da entusiasmarci.

Se ci entusiasmassimo, magari innamorandoci, usciremmo inevitabilmente dal noi stessi rassicurante e protettivo – cosa che l’individuo contemporaneo teme più di tutto.

Il selfie è l’unica realtà del mondo che possiamo permetterci di ammirare, poiché è l’unica davvero tranquillizzante. Esso è la manifestazione più estrema del narcisismo e, in un senso tragico e comico nel contempo, firma il certificato di morte dell’amore.

Infatti, dato che l’amore s’inscrive nella capacità di contemplare un altro (l’”altro”), la coazione ad ammirare la propria immagine ne sancisce inevitabilmente la scomparsa.

Immagine tratta dal web

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