Il senso della giustizia

DI MARINA M. CIANCONI

Inizio a scrivere questo articolo oggi 23 maggio. TV, giornali, notiziari e commemorazioni ricordano a gran voce la Strage di Capaci avvenuta nel medesimo giorno, però del 1992, dove il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro persero tragicamente la vita travolti dalla fredda ed impietosa crudeltà dei loro assassini.

La loro morte, così violenta e urlata, sconvolse il nostro paese. Chiunque di noi ricorda quel giorno. Non si può più dimenticare.

Io studiavo ancora all’università, ma da allora ad oggi, in questo giorno particolarmente, oltre al profondo dolore per la perdita di queste persone, così coerenti e coraggiose verso le responsabilità di cui si erano fatte carico, mi sovviene un senso di colpa che se ne sta lì, latente, un po’ impolverato dal passare del tempo.

Penso alla Giustizia: sia Giovanni Falcone che Francesca Morvillo erano magistrati. Impersonavano la più alta rappresentazione della Giustizia nella nostra comunità.

Il senso di Giustizia non è qualcosa che nasce con noi esseri umani, ma è di fatto presente in diverse specie animali, sicuramente con sfaccettature diverse e con codici di comportamento sociale a cui attenersi differenti da specie a specie.

Ma sta di fatto che esso esiste nel Regno Animale e probabilmente proviene da un percorso evolutivo complesso, e come tutto ciò che si è generato dal lavoro dell’evoluzione, esso sicuramente assume un suo profondo significato nel guidare i comportamenti dentro le società animali.

Giovanni Falcone prima ancora di essere un magistrato è stato una persona altruista, empatica, estremamente intelligente, sicuramente una persona guidata da un elevato livello di moralità su cui non poteva che poggiarsi un’etica di comportamento estremamente inespugnabile.

Sì, perché riflettendo, tutte queste caratteristiche concorrono a sostenere il senso di Giustizia.
L’altruismo, o meglio la capacità di sacrificarsi, di prendersi cura, è finalizzato alla sopravvivenza, al miglior benessere e ad una maggiore facilitazione della vita di chi ci è caro o vicino.

In molte società animali l’altruismo è un comportamento fondamentale e ben più incisivo e frequente rispetto all’aggressività e alla prevaricazione, che pure esistono.

Essere altruisti comporta non solo la capacità di valutare lo stato degli altri, ma a volte anche il rinunciare a qualcosa per se stessi affinché l’altro possa stare meglio.

In molte società animali, la lotta e la sopraffazione non sono l’unica regola possibile, anzi… collaborazione, cooperazione, cura e dedizione sono caratteristiche determinanti per una convivenza di successo tra membri dello stesso gruppo.

L’empatia (dal greco, “en”=“dentro” e “pathos”=“affetto, sentimento”), ossia la capacità di arrivare a sentire, e quindi capire, ciò che sta provando l’altro, è anch’essa una caratteristica presente negli animali, soprattutto in quelli sociali; essa aiuta a comprendere lo stato emotivo di qualcun’altro e a mettersi nei suoi panni; da ciò scaturiscono comportamenti di compassione e quindi forse poi di difesa, di aiuto e azioni benevole.

Possediamo di fatto degli specifici neuroni, chiamati “neuroni specchio” (G. Rizzolatti & C. Sinigaglia, “So quel che fai”, 2006), che appaiono coinvolti in questa capacità di rispecchiarci nell’altro ed anche quest’ultima non si è evoluta a caso, rispondendo ad una precisa necessità biologica di saperci “leggere” l’uno con l’altro.

Tuttavia questa capacità di entrare in empatia non è in tutti allo stesso livello, c’è chi ne ha di più e chi ne possiede di meno, chi infine non ne possiede affatto. Questo fa una differenza importante a livello sociale e nelle interazioni tra individui.

E la moralità? Abbiamo ereditato anch’essa dal lungo tempo evolutivo che ci ha preceduto? Esiste negli altri animali? Saper discernere ciò che è bene da ciò che è male è necessario per poter mettere in atto un comportamento morale.

Oggi abbiamo scoperto che molti animali posseggono questa capacità, certamente con diverse caratteristiche per diverse specie; come anche posseggono quella di sapere distinguere ciò che è giusto da ciò che è ingiusto. Frans de Waal riporta chiaramente questa capacità, nelle scimmie cappuccine ad esempio.

Egli ha dedicato grande parte dei suoi studi al senso di giustizia e della moralità nei primati non umani (per avere un’idea basta guardare questo suo interessante intervento su TEDxPeachtree, “Moral behavior in animals” – “Il comportamento morale negli animali”).

Senza salire ad un gradino più alto, che è quello dell’etica vera e propria, penso che già queste tre caratteristiche siano sufficienti a farci comprendere quanto, sia negli altri animali che in noi, esse siano determinanti all’interno delle società per far sì che, non solo si attenuino i conflitti e si abbassi il livello di aggressività (potenzialmente sempre pericoloso), ma si instaurino relazioni vantaggiose, cooperative e collaborative tra gli individui di uno stesso gruppo.

La pace e la benevolenza consentono agli individui di prosperare, di rischiare di meno, di riprodursi, di prendersi cura della prole, insomma di crescere sia come popolazione, sia in termini di relazioni intraspecifiche.

Accade così che, all’interno di certi gruppi animali, un buon leader potrebbe non essere quello più aggressivo o prepotente, ma quello più comprensivo e sicuro, colui che riesce a “vedere” negli altri e a capire come, in funzione di una loro più lunga sopravvivenza, egli possa guidarli evitando loro grandi rischi e pericoli.

Così, tornando al Giudice Giovanni Falcone, lo vedo come una persona che ha pensato soprattutto al bene della comunità e alla sua crescita morale; egli ha lavorato intensamente attraverso quel senso di Giustizia, che ha ereditato in qualche parte del suo DNA da una storia lontana nel tempo, affinché tutti noi potessimo “riconoscerci”, “leggerci” negli occhi di un altro, sapere che la strada per il benessere è lastricata di atti di altruismo, cooperazione, collaborazione, dedizione e soprattutto di spinte morali ed etiche che innalzano gli individui, consentendo loro di ampliare il proprio sguardo e così di andare lontano.

Forse di fronte a così tanto coraggio e lungimiranza, perseguiti oltre il valore della sua stessa vita, quel latente senso di colpa impolverato dagli anni mi arriva dalla consapevolezza che quest’uomo è stato man mano lasciato solo, isolato dalla sua comunità.

Quella stessa di cui lui si era principalmente preoccupato ed occupato, di cui si era preso cura, in cui ha creduto fino all’ultimo respiro cercando in ogni modo di trarla in salvo; di quella comunità ciascuno di noi ne fa parte.

Siamo tutti un po’ colpevoli di fronte a queste vite perdute e dopo trent’anni ancora ne sentiamo il peso.

Quel peso amaro della consapevolezza di aver voltato le spalle a chi ha semplicemente pensato e agito per il bene comune: a chi ha pensato a noi.

Immagine free (Pexel)

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