Il silenzio, la parola, la voce

DI MARINA AGOSTINACCHIO

“Dividere ciò che era congiunto” Se (dividere)-parare (disporre, mettere alla pari). (Francesco Bonomi, vocabolario etimologico della lingua italiana).

Mi chiedo, e ultimamente sempre più spesso, quanto questo verbo, separare, dividere, appunto, incida profondamente nell’esperienza dell’allontanamento assoluto da chi scompare dal nostro orizzonte visivo.

Ma soprattutto mi chiedo cosa di questo commiato definitivo pesi sulla condizione di silenzio che cala da un momento preciso della propria vita per poi essere elaborato nel tempo.

Dolore, sprofondamento, pianto devono seguire il proprio corso; vivere un periodo di attesa verso qualcosa che avrà una svolta in noi, noi persone che prima o poi faremo esperienza di separazione definitiva.

Cosa manca, ci manca, della persona che ci lascia, o chi e cosa sono capaci di farci da tramite, quali messaggeri, verso la persona, considerata nell’ interezza di quando era in vita…
La voce nelle sue modulazioni espressive è indubbiamente l’elemento corporeo che rende vivo il rapporto con l’altro.

Il suono è l’espressione della materialità, della corporeità, della carnalità.
Pensiamo all’importanza che attribuiamo alla parola vista, rispetto alla parola detta…

Certo è che il suono è un potente strumento di relazione con l’altro e come tale è dà la possibilità, nel rapporto con l’alterità, di avere conoscenza di noi stessi.

Adriana Cavarero, filosofa, storica della filosofia e accademica italiana, nel suo saggio “A più voci. Filosofia dell’espressione vocale” ci dice come nel pensiero arcaico della voce il suono sia immagine del divino, manifestazione fonica, come manifestazione del pensiero che si reputava prodotto dai polmoni e dall’apparato respiratorio e fonatorio; “non a caso la parola nous (pensiero) rinvia a noos (naso)”.

E’ interessante, poi, quanto la Cravero ci indica sulla differenza tra la cultura greca da Platone in poi.
Il filosofo greco infatti agganci fortemente la propria conoscenza alla dimensione del visivo, (la voce è sempre riportata alla parola scritta, alla sua espressione visiva, priva di suono).

Il mondo ebraico è invece strettamente legato alla sfera uditiva e ad essa riconduce la propria conoscenza
(“la stessa potenza di Dio si manifesta non tanto nel Verbo, quanto nel respiro -ruah, in ebraico, pneuma nella versione greca dei Settanta e spiritus in latino – e nella voce (qol), sotto forma di “vento, brezza, bufera”, in una “sfera fondamentale di senso che viene prima della parola”).

Se pensiamo alla creazione – sempre Cravero – il momento originario consiste in un suono puro, sganciato da un qualsiasi rapporto di significato con un referente; Dio, invece, diventa parola attraverso i profeti: secondo la rilettura cristiana del Vecchio Testamento che riporta il momento della creazione alla parola, non al respiro.

Pertanto si possono cogliere differenze anche nella lettura del testo sacro: per gli ebrei avviene a voce alta con un’ondulazione ritmica del corpo, a sottolineare la sonorità musicale della parola, per i cristiani è silenziosa e immobile.

Vediamo ora un altro confronto tra un’ottica antiacustica e una videocentrica della parola, secondo Omero e Platone.

Nell’epica la lettura è guidata dalla metrica, dal ritmo, dal suono, convogliati nella memoria che guida il cantore cieco nell’espressione sonora del verso. Il suono quindi viene ad essere prevalente sul significato dell’enunciato inteso come rapporto tra il significante e il significato.

Nella concezione della logica di Platone, fondata sull’affermazione e la difesa del potere del maschio nella società, il poema epico e la sua musicalità vengono fissati nel segno scritto, letto, in un linguaggio lineare, ritrascrivibile, organizzato secondo uno schema che esula dalla fluidità del canto.

La voce è parola e suono. Parola scritta, parola detta… la voce è espressione di entrambe, ne detta i possibili requisiti, ma allo stesso tempo le supera con la sua sonorità, sospesa tra una dimensione performativa e una narrativa.

Nella seconda parte del saggio, la studiosa Cavarero presenta una serie di ritratti di Donne. Anche quando la parola si trasferisce nella scrittura, la voce femminile, ci dice la studiosa Cravero, mantiene una connessione con la “sfera preverbale e inconscia dove regna l’impulso ritmico e vocale, non ancora abitata dalla legge del segno.”

Così vengono citate nel saggio donne che cantano: figure femminili mostruose, teriomorfe e mortifere.
Pensiamo al canto dolce, soave, accattivante delle sirene…
Pensiamo a Eco, punita da Giunone proprio nella sua peculiarità di ridondanza verbale e condannata a ripercorrere i suoni altrui.

Eco, ragazza loquace, non riesce più a produrre discorsi autonomi, il suo corpo è rannicchiato nella grotta, si scarnifica, di esso rimangono solo le ossa e la voce. Le ossa prendono la forma stessa della cava roccia che la contiene.

Eco è assorbita dal paesaggio, si disperde in esso e la sua voce, fioca e lontana, solo l’ultima sillaba delle sue parole; essa visse eterna racchiusa nella stessa montagna.

Da una parte, l’eccesso del vocalico di Eco che con la sua bella voce armoniosa continuava ad invocare per giorni e notti il suo amato, dall’altra l’eccesso della stessa immagine di cui Narciso si era innamorato perdutamente, tanto che per questa ragione tornava di continuo sulle rive del fiume ad ammirare quella muta e fredda figura, impediscono la piena comprensibilità del semantico.

Ci si potrebbe porre la domanda di cosa significhi la voce derubricata dal suo binomio significante -significato. Cavarero ci parla di l’unicità della persona come relazione. Il suono è emblema di un corpo che lo diffonde.

Esso è rivelatore di una “singolarità irripetibile” che appare nel flusso del dire piuttosto che nel detto depositato in un segno: “la voce pertiene al vivente, comunica una presenza in carne e ossa, segnala una gola e un corpo particolare”.

Rispetto allo sguardo, la voce si pone sempre come unità di relazione; “prima ancora di farsi parola, la voce è un’invocazione rivolta all’altro e fiduciosa di un orecchio che la accoglie”.

Proprio nella parola soffiata attraverso i polmoni ” si stabilisce dunque l’essere per l’altro, ovvero la relazione che ha luogo nel contatto diretto tra le cavità di un corpo che emette un suono e quelle di un corpo che lo riceve, in ciò che di più nascosto e vibrante c’è in ognuno di noi”.

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