Recensione de Il soccombente di Thomas Bernhard, traduzione di Renata Colorini, Editore Adelphi.
Thomas Bernhard e il suo “Il soccombente”. Tratta dell’incontro di tre pianisti che frequentano un corso di Horowitz, due di loro sono ottimi musicisti ma normali, mentre il terzo è geniale, trattandosi nientemeno che di Glenn Gould.
Per i digiuni di musica classica bisogna dire che Gould è considerato uno dei più controversi e innovativi interpreti di Johann Sebastian Bach, osteggiato dalla critica ortodossa e al contempo osannato dalle correnti più aperte al cambiamento in un mondo, quello del repertorio classico, dove qualunque tentativo di superamento della tradizione deve attraversare ostacoli spesso invalicabili e dove soltanto la genialità nella sua forma più sublime riesce a imporre la propria visione.
La summa dell’espressione artistica di Gould rimangono le Variazioni Goldberg, la cui interpretazione rimane secondo molti, inarrivabile.
Non che i due musicisti comprimari siano mediocri anzi, il fatto è che di fronte al genio, anche l’artista tecnicamente più capace ma privo di quello spunto che lo fa emergere al di sopra degli altri, deve soccombere.
Un libro sull’amicizia ma anche sul senso della sconfitta, quando ci si accorge che la gara impari è persa in partenza, perché chi ti sta di fronte è comunque irraggiungibile, per quanti sforzi uno faccia.
Il romanzo è scritto con il consueto stile asciutto, privo di dialoghi, paragrafi a capo e capitoli; scrittura che ha sempre caratterizzato l’autore austriaco scomparso nel 1989, il quale è stato spesso considerato in patria un autore scomodo per le sue posizioni critiche verso quell’Austria omologata e asservita a una mediocrità di vita sempre uguale a sé stessa. Un libro che offre al lettore più di uno spunto di riflessione su se stesso e sul modo di vivere le proprie relazioni.
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