Il viale degli alberi

DI GIOVANNI BOGANI

 

Si finisce, come giocattoli a pila. Ho avuto tanti giocattoli, da ragazzino, e forse non me ne sono reso conto. Ho avuto i binari dei treni elettrici, e i treni elettrici, correvano lungo quei binari ed erano bellissimi. C’era il locomotore e c’erano i vagoni, più leggeri. Proprio come nella realtà.

Ho avuto i soldatini, della Seconda guerra mondiale e anche del West. Li compravamo in cartoleria, a scatole: soldati britannici, soldati tedeschi. E mi immaginavo battaglie infinite.

Si gioca ancora con i soldatini? Esistono ancora i treni elettrici? Ci sono gli smartphone e la playstation, ma si perde sempre qualcosa.

Ho avuto i libri, quelli di Jules Verne e quelli di Emilio Salgari. Ho sognato su isole misteriose e viaggi sulla Luna, ho immaginato corsari e pirati, ho immaginato Perle di Labuan con file di denti “bianchi come perle”.

Ho avuto le automobiline della pista Polistil, che correvano e andavano sempre fuori pista. Ho avuto un tremendo vestito beige da indiano pellerossa per Carnevale, e forse anche un vestito di Zorro.

Ho avuto tutto quello che hanno avuto i bambini della mia generazione. E non me ne rendevo conto. Erano cose che costavano, e di sicuro non ci avete mai fatto caso. Io, da parte mia, non ho mai chiesto niente.

E giocavo felice anche con una specie di Subbuteo che mi ero inventato da solo, con le figurine Panini del ‘70-71, che erano a figura intera. Con quelle figurine di cartone, creavo squadre che giocavano sul tappeto di camera mia, misura perfetta per un campo da gioco.

Non mi mancava niente, di giochi. Mi mancava compagnia. Ma quella è stato il Leitmotiv di tutta la mia vita, a pensarci bene. Ho sempre avuto tanti giocattoli e tante cose da immaginare. I giocattoli si sono chiamati libri, e poi canzoni, e poi chitarre, e poi film. Hanno cambiato nome, ma sono sempre stati un modo di giocare con la vita. È sempre mancata più la compagnia.

Quando il nonno finì, quando morì, tu mamma avevi cinquantadue anni.

Eri distrutta, straziata nel profondo. Per me era il nonno, un vecchio albero stanco. Per te era stato tutto.

Provai a consolarti dicendoti “Mamma, vedi quegli alberi nel viale? Ne manca uno, proprio qui. C’è un vuoto grande.

Ma, man mano che andiamo avanti, quel buco sembra più piccolo, fra gli alberi del viale, e poi pian piano non lo vediamo quasi più”. Mi guardasti, un po’ stupefatta.

No, non pensavi davvero che quell’albero che mancava nel viale tu potessi, un giorno o l’altro, non notarlo più. Ma ti consolò pensare che, a undici anni, avessi pensato quella cosa. E l’avessi detta. Chissà se mi stringesti.

Immagine tratta dal web

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