In sede di giudizio, lo ‘screenshot’ di whatsapp può valere come prova?

LO “SCREENSHOT” DI WHATSAPP VALE COME PROVA?
Può capitare in diverse occasioni di ricevere dei messaggi sul proprio cellulare dal contenuto minaccioso, ossessivo, ingiurioso.
In questi casi, si è spesso tentati di cancellare immediatamente quanto ricevuto, per evitare ulteriori turbamenti e per magari troncare qualsivoglia conversazione con il mittente.
In realtà, è sempre buona norma conservare tale corrispondenza, perché potrebbe tornare utile in futuro. In particolare, una delle applicazioni di messaggistica elettronica oramai più diffuse è, come ben saprete, “whatsapp”.

I nostri dispositivi danno la possibilità di cristallizzare quanto visibile sul nostro schermo (quindi anche e soprattutto i messaggi ivi ricevuti) tramite il cosiddetto “screenshot”, che, di fatto, effettua un’istantanea del contenuto dello schermo stesso, che viene conservata come immagine nel nostro cellulare.
La domanda viene spontanea: sono producibili in giudizio questi “screenshot”? Posso servirmene per far valere i miei diritti dinnanzi a un giudice?
La questione è stata molto dibattuta in giurisprudenza, anche se l’orientamento più recente, di fatto, ha riconosciuto la qualità di “prova documentale” allo screenshot, anche in assenza di una certificazione o autenticazione notarile.
Nello specifico, si è espressa in merito la Corte di Cassazione, con una recente sentenza in tema, precisando, peraltro, che sarà poi compito del giudice valutare l’attendibilità di queste nuove forme di prove documentali.
La prova dell’eventuale manipolazione dei dati contenuti nello screenshot (prova diabolica, dato l’alto tasso di difficoltà tecnica richiesto), invece, sarà da fornire in sede di giudizio, non essendoci alcuna “barriera all’ingresso”, appunto, che ne vieti la produzione in giudizio.
L’invito, pertanto, è quello di effettuare lo screenshot dei messaggi ricevuti su “Whatsapp” e di stamparne una copia cartacea per sicurezza, soprattutto nei casi in cui ci si ritenga vittime di quei reati spesso consumati proprio tramite tali mezzi di corrispondenza (minaccia, stalking, diffamazione ecc…), per poter poi produrre il tutto come materiale probatorio in giudizio.
Riferimenti normativi: Sent. Cass. n. 8736/2018. (FONTE: l’angolo del diritto penale)

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