DI GIOVANNI BOGANI
“Che cosa faccio adesso?
Quello che ho fatto sempre: mi dedico a fare della mia vita un capolavoro”. È serena, piena di spirito, e ha un sorriso ancora luminoso, Orchidea De Santis. All’inizio degli anni ’70, era nei sogni di milioni di italiani.
Erano gli anni della commedia erotica: il periodo in cui Orchidea girava anche cinque, sei film all’anno. Sfaccettando, quasi sempre, lo stesso personaggio seducente e leggero. Se fosse stata nel Settecento, sarebbe stata una Locandiera goldoniana: ma erano gli anni ’70 in Italia, soffiava forte il vento della commedia sexy, e Orchidea si è dovuta accontentare di essere cameriera con licenza di sedurre, e altri mille ruoli promettenti, ammiccanti, gioiosi. Capelli biondi, occhi chiari, seno che guizza, inquieto.
Orchidea selvaggia: fin troppo facile il gioco con le parole. Ma più che selvaggia, attenta, disciplinata, collaborativa. E, cosa non trascurabile, sapeva anche recitare.
Ma erano le altre, le straniere, quelle che sembravano prendersi più spazio nei cartelloni. I ruoli da protagonista, il nome scritto più grande, nei titoli di testa. Edwige Fenech che portava il profumo dell’altra parte del Mediterraneo, Barbara Bouchet che sembrava la cugina di Hansel e Gretel, Laura Gemser che veniva dall’Indonesia, Zeudi Araya dalla pelle di luna.
Sembrava quasi più facile desiderarle, quando venivano da lontano, e appartenevano di diritto al mondo dell’esotico, della fantasia. Lei, invece, era il sexy della porta accanto.
“Sul set non creavo mai problemi, e questo è stato un errore”, dice. “Mi usavano come una pantofola: io per questo soffrivo molto”. Quando quella stagione di film girati a getto continuo iniziò, lei aveva già un curriculum di tutto rispetto: aveva lavorato con Enrico Maria Salerno, Luciano Salce, Yves Allégret, con Klaus Kinski, con Giancarlo Giannini. E aveva già combattuto le sue battaglie.
Ma è meglio che sia lei a raccontarlo. La raggiungiamo in questo inizio di anno, al telefono. E’ nella sua casa di Roma.
Orchidea, l’inizio non fu con il cinema, ma con la musica.
“Quando ero bambina, la famiglia si trasferì a Roma, non lontano dalla Rai. E io finii nel coro delle voci bianche della Rai: ricordo un pianoforte enorme, a coda, e una professoressa austera. Imparai subito la disciplina, e non l’ho più dimenticata”.
Con chi ha cantato?
“Diventai presto voce solista: e mi capitò di cantare con Fred Buscaglione, con Renato Rascel, con Johnny Dorelli, con Mario Del Monaco, di partecipare al Musichiere…”.
Poi che cosa accadde?
“Poi ci fu la prima occasione di lavorare nel cinema. Era il 1964, io avevo sedici anni. Era una piccola parte, in un film a episodi. Ma erano i primi soldi miei, e la possibilità di andarmene di casa. A sedici anni cominciai a vivere da sola”.
Fu difficile fare accettare a suo padre la sua scelta?
“Non difficile, difficilissimo. Mio padre era ufficiale di Marina: e per fortuna, in Marina la mentalità è un po’ più aperta, sono gente che viaggia. Ma ugualmente, fu tremendo. C’era ancora questa idea che le attrici fossero persone in qualche modo peggiori, delle poco di buono. Secoli fa seppellivano gli attori in terra sconsacrata: ma ancora negli anni Sessanta c’era qualcosa di simile, nella mentalità comune”.
Che cosa le disse, quando andò via di casa?
“Mi disse: vai pure. Ma non tornare qui a piangere”.
Il primo partner, Enrico Maria Salerno. Com’era?
“Molto paterno e gentile. Io ero poco più che una bambina. Da allora ho fatto film di tutti i generi: peplum, western, comici”.
Molti li ha girati con Luciano Salce. Tanto da fare ingelosire Emanuele Salce…
“Manuelino! Credeva che fra me e suo padre ci fosse chissà che… Invece non c’è mai stato niente. Luciano era un gran signore, elegante, ironico, innamorato delle donne ma rispettoso. Emanuele però ci ha sofferto, lo so”.
Tanti film con attori anche internazionali. Chi ricorda?
“Michel Piccoli, con cui ho recitato in ‘L’invasione’: un gran signore. Gérard Depardieu con cui ho recitato in ‘Tre simpatiche carogne’: era bravissimo, ma già selvatico. Uno che mangiava con le mani, che si puliva con la manica la bocca sporca di sugo. Ma un genio assoluto nel recitare”.
Nel 1972 stabilì un record: cinque film “decamerotici” uno dopo l’altro. Ma come li ricorda?
“Sono grata anche a quei film. Non si può vivere solo di cinema d’autore: e io, orgogliosamente, ho sempre vissuto del mio lavoro, senza chiedere niente a nessuno, senza stare insieme a nessun potente, nessun produttore o altro. Se mi chiedono ‘quale film preferisci?’, io rispondo: tutti. Perché tutti mi hanno dato la possibilità di esprimermi. Anche le p…ate mi hanno permesso di essere una donna indipendente”.
Che importanza ha avuto la commedia sexy, secondo lei, nella società italiana?
“Erano anni durissimi, c’era il terrorismo, la crisi economica internazionale, l’Austerity, il petrolio che mancava, gli attentati. Quel cinema serviva a divertire, ad alleggerire un momento di grande sofferenza”.
Quali attori ricorda con più affetto?
“Don Backy, con cui ho girato un paio di decamerotici. Ero una fan delle sue canzoni, e ritrovarmi a recitare con lui è stata un’emozione. E Renzo Montagnani, che – non sono io a scoprirlo – aveva un talento di attore enorme, quasi sprecato per certi film. Ma doveva lavorare molto per pagare le cure ad un figlio molto malato: per questo girava un film dopo l’altro”.
Aveva amici, fra i colleghi?
“No. Sui set non si formavano grandi amicizie, finito il film ognuno andava per la sua strada. E c’è sempre un po’ di competizione”.
Le sue colleghe di genere? Edwige Fenech, Barbara Bouchet e le altre?
“No. Soffrivo un po’ la mania degli italiani per l’estero, arrivavano attrici con nomi un po’ esotici e occupavano la scena. E poi, certo, diciamocelo: nessuna era indispensabile, nessuna era Eleonora Duse. Tutte eravamo un po’ intercambiabili, un bel faccino e un bel paio di gambe. Se quel lavoro non lo prendevo io, lo prendeva un’altra”.
Quindi c’era la paura di essere messe da parte, un po’?
“Certo. Così accettavi due, tre film di fila. Poi scoprivi che il film che avevi fatto lo manipolavano”.
In che senso?
“Beh, tu giravi il film e poi, ti dicevano, arrivavano degli attori che aggiungevano delle scene ‘per la versione per l’estero’. Noi non sapevamo in che cosa consistesse, questa versione per l’estero. Scoprimmo dopo molti anni che venivano inserite vere e proprie scene porno, con attori di cui non si vedevano i volti! Così facevano credere che fossimo noi a girarle. Ho scoperto tutto solo molti anni dopo”.
Ha girato dei film porno senza saperlo?
“Non io: ma hanno fatto credere che fossi io. A vent’anni non ti rendi conto di molte cose”.
Per quello poi ha deciso di smettere?
“No. Per una cosa molto più seria. Sul set di ‘Arrivano i Gatti’, nel 1979, caddi in una botola di scena, e rischiai grosso di rompermi l’osso del collo. Novanta giorni di prognosi, due operazioni, due anni per rimettere a posto il braccio. Non si alzava più”.
Smise perché non si sentiva fisicamente bene?
“No. Smisi perché la produzione non mi protesse, non mi tutelò come avrebbe dovuto, dopo. E capii che gli attori sono carne da macello. Ebbi grosse delusioni da chi non depose al processo su come si svolse quell’incidente. Scoprii che il mondo del cinema mi aveva voltato le spalle. E io voltai le spalle al mondo del cinema. Definitivamente, salvo un paio di episodi”.
Il cinema è crudele?
“E’ una tribù in cui, quando c’è qualcuno ferito, questa persona viene allontanata. Quella volta ho perso l’amore per il cinema. Ho fatto programmi alla radio, ho fatto le prime trasmissioni sugli animali. Ma cinema mai più. E avevo trentun anni”.
Adesso che cosa fa?
“Ho preso a cuore le sorti di un parco, il parco di Monte Ciocci, a Roma, una sorta di montagna verde tra la Balduina e la via Aurelia, da cui si può ammirare un panorama spettacolare. Si vede la Basilica di San Pietro, si vede tutta Roma. Era una zona degradata: io ho fatto una battaglia durata anni per trasformarla in un parco”.
Perché proprio questo parco?
“Lo dovevo al mio amico Ettore Scola. Lui scelse di girare qui ‘Brutti, sporchi e cattivi’, fra le baraccopoli che erano nate negli anni ’60. Era un bellissimo film con Nino Manfredi. Parlavamo spesso insieme del futuro di quest’area, da dove si vedono quattro linee ferroviarie, due casematte dell’Ottocento, e un panorama meraviglioso su Roma. Adesso in questo parco possono venire a giocare i bambini”.
E a se stessa, che cosa concede?
“Io cerco, come le ho detto, di fare della mia vita un capolavoro. In ogni momento. Ci sono le amicizie, le persone, le letture, il tempo da vivere, in ogni momento”.
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