Jacopo della Quercia,Tomba di Ilaria del Carretto

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Jacopo della Quercia è uno scultore piuttosto sui generis; definito solitario, opera in Toscana ma da reale indipendente, evitando di farsi coinvolgere nelle discussioni dell’epoca circa le novità prospettiche, al contrario maturando e realizzando uno stile personale ai limiti dell’anticonformismo.

Purtroppo questo è uno dei motivi per cui la sua popolarità è inferiore a quella di altri artisti, alcuni anche meno dotati; esattamente come accade oggi: non è sufficiente il talento ma occorrono sistema ed occasioni per metterlo in luce.

Le stesse notizie sulla sua formazione appaiono piuttosto esigue: rimasto una figura avversa ad etichette ed incasellamenti, consente di essere esaminato esclusivamente attraverso le opere senza null’altro concedere.

Il suo capolavoro, il sarcofago di Ilaria del Carretto, moglie di Paolo Guinigi, deceduta giovanissima nel 1405, è stato purtroppo scomposto e ricostituito senza permettere di conoscere se la ricostruzione, avvenuta un secolo dopo, ne abbia effettivamente riprodotto la struttura originale.

Ciò che sappiamo è che Jacopo della Quercia ha inteso riproporre il tipico sepolcro medievale atto a riprodurre il defunto giacente sul letto di morte, oltre ad avere, pare, le caratteristiche delle tombe borgognone, sollevate da terra.
È probabile che l’eventuale possibilità di ammirarla dall’alto, quindi secondo una prospettiva di dominio privilegiato, fosse funzionale a conquistarne quella dinamica immagine che attraverso l’attuale collocazione rischia di risultare meno congeniale alla presumibile visione inizialmente prevista e prefigurata.

E comunque, tutto sommato, anche questo non è poi così importante, almeno al pari della scarsa rilevanza attribuibile alla figura storica in sé.
Come evidenziato dalla giornalista Neria De Giovanni, per l’Enciclopedia delle donne, e poi confermato da tanti altri, da Gabriele D’Annunzio, a Salvatore Quasimodo, a Vittorio Sgarbi, la scultura possiede un fascino immediato in grado di conquistare chiunque la guardi, indipendentemente da quanto si possa essere preparati nell’affrontarla; certo, è possibile conoscerla attraverso pubblicazioni artistiche o reminiscenze scolastiche, ma non è quello il grado di conoscenza che ne determina il reale, empatico effetto: Ilaria del Carretto, preservata per l’eternità da Jacopo della Quercia, non riesce a restare confinata entro la struttura che la rappresenta.

‘Il suo simulacro marmoreo abita nella fantasia di ogni donna e ogni uomo che l’ammira’, questa la perfetta definizione dell’autrice, che attraverso le parole spiega, per quanto sia possibile, la dimensione di un innamoramento.

Sì, poiché di Ilaria ci si innamora, senza fraintendimenti o illusioni. Non è la Galatea di Pigmalione, pietosamente animata da Venere impietosita dalia dedizione del suo creatore: Ilaria è viva, e rappresenta quella scultura vivente la cui presenza perfettamente si adatta alla definizione che Francesco Arcangeli, primo allievo di Roberto Longhi, nonché maestro di Vittorio Sgarbi, attribuisce all’arte, la quale ha un senso se non limitata a forma ma in quanto continuazione della vita, in ossequio all’unica espressione possibile dell’arte, che è appunto la vita stessa in guisa di continuazione dell’anima.

Ilaria è tutto questo, e anche di più: al suo cospetto si tralasciano storie e informazioni, si perdono nozioni e si acquistano ricordi.
Al di là di spiegazioni plausibili, si decriptano sentimenti soverchiando il naturale ordine delle cose, per assurgere a qualcosa di ulteriore ma non ultraterreno.

Difficile, ma non incomprensibile; leggibile, ma solo con gli occhi del cuore.
Naturalmente, le incredibili dolcezza e raffinatezza dell’opera, continuano tutt’oggi a colpire chiunque abbia il privilegio di poterla ammirare, e non sono pochi coloro i quali, dopo averla vista, legano in qualche modo un elemento della propria vita a questo supremo splendore…

Jacopo della Quercia (1371/74-1438), Tomba di Ilaria del Carretto, 1406/1407, marmo, m.2.44×0.88×1.17, Lucca – Duomo
Immagine tratta dal libro L’arte italiana – vol. II, di Piero Adorno

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