James Whistler, Sinfonia in bianco n.1

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Chi era quella donna? Qual era il suo nome?
Gunther continua a domandarselo per tutto il tempo: dal momento in cui ha intravisto Juliette attraverso la vetrina di un fiorista e poi l’ha casualmente incrociata nel traffico e all’uscita di un teatro, almeno fino a quando la sconosciuta, ospite allo stesso ricevimento presso un’amica comune, gli viene presentata.

E così inizia un sottile gioco di seduzione culminante in un’ambigua partita a poker.
Mano rubata, film di Alberto Lattuada del 1989, si svolge così, e pone l’accento sull’aspetto, spesso enigmatico ed intrigante, posto alla base dell’innamoramento. Il falling in love, come lo chiamano gli anglosassoni: cadere in amore, poiché in amore si cade, e non sempre c’è qualcuno disposto o pronto a prenderti, e allora si rischia di farsi male.

Oppure succede qualcos’altro: quel qualcuno ti fa immediatamente capire che non è il caso di buttarsi, che è inutile farlo, dato che non ci sarà nessuno ad accoglierti. Sei rifiutata a prescindere.
È questo che accade a Giovanna Hiffernan, ragazza in bianco, protagonista di Sinfonia in bianco. Fissata per sempre nel candido, malinconico atteggiamento di chi si è dovuta ricredere sulla propria condizione e ha dovuto affrontare il rifiuto.

Sì, perché James Whistler, artista americano originario del Massachusetts, nonché impudente dandy con un concetto molto personale dell’arte – dea d’intelletto fine, reticente per abitudine, aliena dalle intrusioni, che non ha la minima pretesa di far del bene agli altri – ha effettivamente una storia con l’interessante ed intelligente modella irlandese, anche se, come ammetterà lui stesso, solo al fine di realizzare la sua opera.

Un rapporto di assoluta utilità senza alcun fondamento sentimentale, che rimane nel giglio che lei stringe, tristemente, in mano, ormai destinato ad appassire, e in quello sguardo vagamente assente, al di là di ogni ragionevole speranza.
E Johanna, disillusa e accantonata, prende posto di diritto al Salon des Refusés, il Salone dei Rifiutati, unico luogo dove gli Impressionisti, respinti dal mondo accademico, possono esporre le proprie tele.

Lei, rifiutata, e accomunata al triste destino di una serie di opere troppo innovative per poter essere immediatamente comprese, appare stancamente fiera nel proprio temporaneo rifugio.
L’abito bianco che Whistler sceglie per ritrarla, leggero ed etereo, è nelle intenzioni dell’artista una vera e propria partitura, in cui sono le pennellate a sostituire le note e a comporre la musica, realizzando l’ispirata sinfonia, unico fine di quella perentoria illusione; e Johanna, splendida ed evanescente, è il puro spirito che materializza una chimera.

Ma in quello sguardo fiero, c’è la sua rivincita, perché pur dovendo rinunciare a quell’amore desiderato, Johanna conquisterà quelli restanti. E non saranno pochi.
Whistler, senza volerlo, le fa il più bel dono che si riesca ad immaginare, consacrandola all’immortalità dell’Impressionismo, emblema di un’arte senza più confini…

Chi desiderasse incontrare Johanna Hiffernan, può a farlo al capitolo 5 del libro Ho scritto t’amo sulla tela, dello storico dell’arte Carlo Vanoni, che nuovamente ringrazio, e al capitolo VIII del romanzo Vortici di gloria – Il romanzo degli Impressionisti, di Irving Stone.

James Whistler, Sinfonia in bianco n.1: The White Girl, 1861/1872, olio su tela, National Gallery of Art, Washington, Harris Whittemore Collection
Immagine: web

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