Jan Brokken, I Giusti

DI MARIO MESSINA

Chi si trova a maneggiare questo libro deve aspettarsi tutto fuorché un romanzo.
Per ragioni di metodo il racconto assume, infatti, molteplici altre caratteristiche.

Per l’approccio scelto lo scrittore sembra muoversi sulla linea di confine che fa combaciare il lavoro dello storico con quello del giornalista d’ inchiesta.
Una ricerca storica in cui l’uso delle fonti non rimane relegato solo al passato generando un vero e proprio processo di vivificazione degli eventi.

Il libro diviene così nella sua essenza più pura una collezione di biografie.
Con uno stile un po prolisso e non sempre accattivante (suo grande limite) lo scrittore ci consegna molteplici ritratti.

Esistenze dipendenti da altre esistenze.
Perché di questo si tratta quando la nuda vita dipende da una firma. Quella di colui che ha scelto di non avere una “coscienza elastica quanto vigliacca”, tanto per citare l’autore.

Lo scrittore, nelle sue intenzioni originarie, avrebbe voluto, probabilmente, concentrare le sue attenzioni principalmente sull’ impresa eroica compiuta dal console dei Paesi Bassi e dal console giapponese di stanza in Lituania negli anni ’40.

Costoro, infatti, tramite un abile uso delle prerogative diplomatiche di concessione dei visti, permisero a migliaia di perseguitati di religione ebraica e non di raggiungere la colonia olandese di Curacao tramite la Russia ed il Giappone.

Avendo salva la vita.
In un afflato umanitario, però, anche la ricerca storica può mutare geneticamente facendo si che ogni esistenza diventi degna di essere raccontata e consegnata ai posteri.

Con un doppio risultato di segno contrastante: arricchire l’orizzonte del racconto ma appesantirlo al contempo.

Immagine tratta dal web

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