Jerry e Lucille

DI CARLO MINGIARDI

Il termometro fuori in balcone dice -18, caspita, mi aspetta un’altra giornata con i piedi congelati, non lo sopporto il freddo, mai sopportato.
Mi vesto in fretta incappucciato fino all’inverosimile, mi butto in strada cercando di evitare le lastre di ghiaccio e mi avvio in stazione poco distante da casa mia.

Questa è la vita del pendolare, Shelburne-Toronto andate e ritorno cinque giorni la settimana, ma ormai ci ho fatto il callo, quello che non sopporto è il freddo, dovevo nascere in Italia a Napoli, la città del sole e del mare invece che in Canada, sarà per la prossima vita.

Guardo dal finestrino del treno le distese innevate, gli alberi cristallizzati dal gelo, il fumo denso che esce dai comignoli delle poche case disseminate sul percorso, mentre giocherello con il mio antistress. Anche oggi in ufficio le solite facce finte che detesto, smielate con il capo, false come una moneta da tre dollari, ma ormai ho imparato anche io ad indossare la mia maschera.

Per sopravvivere bisogna fare questo e altro.
Scendo dal vagone e mi avvio al sottopassaggio, ma già sento le note delle chitarra di Jerry, artista di strada che ormai conosco da tempo, mi fermo sempre da lui e gli sgancio sempre volentieri qualche dollaro. Suona quella chitarra nera, bellissima, in modo incredibile, quel Blues vecchio, rurale, quello delle piantagioni di cotone.

Ci mette l’anima perché ama la musica più della sua vita, di quella gli importa poco, sempre trasandato ma con quella faccia luminosa e quella barba bionda che lo fanno somigliare ad un misto tra Gesù Cristo e Kurt Cobain.

A volte ci mangiamo un panino insieme seduti sulla panchina della stazione mentre aspetto il treno per tornare a casa, allora gli chiedo di lui, della sua vita, della sua musica, dei suoi desideri.

All’inizio era molto restio a rispondermi, poi quando ha capito che in fondo ero un po’ come lui si è aperto e ha iniziato a raccontare.
Fuggito dagli agi di una famiglia benestante per rincorrere il suo sogno di musicista, ma in quel campo per sfondare non basta il talento, e lui ne ha da vendere.

Ci vuole culo, conoscenze, saper scendere a compromessi commerciali, Jerry invece ama il Blues che di commerciale ha ben poco, allora è rimasto a fare la sua amata musica in strada.

Passando di fretta perché è tardi lo saluto e gli lascio un foglio da dieci dollari per il pranzo, lui mi sorride, mi fa un segno affettuoso portandosi la mano al cuore e continua a suonare la sua bellissima chitarra nero lucido, che stride un po’ con il suo abbigliamento logoro dal tempo.

Passa inesorabilmente un’altra giornata di lavoro.
Quando a sera arrivo in stazione ci sono macchine della polizia, autoambulanza e sento un gran vociare provenire dal sottopassaggio. Mi assale una grande inquietudine, quasi una premonizione, mi si stringe lo stomaco, accelero i passi per raggiungere il sottopasso e la scena che mi si presenta è una coltellata in pieno petto.

Dove la mattina c’era Jerry adesso c’è un manipolo di poliziotti, la zona è delimitata dal nastro di plastica, intravedo un sacco con dentro un cadavere, c’è del sangue in terra, pochi spiccioli sparsi e poco distante la sua chitarra nera.

Non ho più dubbi, si tratta del mio amico, mentre le lacrime mi scendono dagli occhi e si cristallizzano per il gelo sul mio viso, mi avvicino e chiedo ai passanti cosa fosse accaduto.

Un colpo accidentale di pistola tra un poliziotto e un ladro aveva fermato per sempre il cuore di Jerry. Mi si annebbia la vista, il cuore batte all’impazzata, rabbia, sgomento, frustrazione è un vortice di sensazioni che non riesco a contenere.
In una frazione di secondo scavalco il nastro di plastica, prendo la chitarra e fuggo via come un pazzo.

La vita troppe volte non ha senso, premia i farabutti e si porta via le persone migliori, non la capisco.
Sono passati venti anni da quel giorno maledetto, mi sono creato una famiglia, ho avuto una figlia meravigliosa, Lucille, ho cambiato lavoro, ho cambiato città, addirittura continente, vivo a Napoli, forse sono cambiato tanto anche io.

Oggi ho deciso di salire in soffitta e prendere la chitarra nera di Jerry che non ho mai più toccato. La regalerò per il suo diciottesimo compleanno a mia figlia Lucille, sono sicuro che apprezzerà molto questo regalo, lei ama la musica, ama soprattutto il Blues, gliene ho fatto sentire a bizzeffe fin da piccola.

Gli racconterò la storia di Jerry.
Sono certo che farò un gran fatica a dirgliela, sono certo che scenderà qualche lacrima, perché le emozioni non riesco a nasconderle, ma la cosa più importante che gli dirò è di non rinunciare mai ai suoi SOGNI, per nessun motivo al mondo, costi quel che costi, come ha fatto Jerry.

Immagine tratta dal web

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