DI ROBERTO BUSEMBAI
E piano piano anche l’autunno ha fatto il suo ingresso pubblicamente e come tale noi ci inchiniamo sperando che non sia molto furioso ma ci doni colori e variazioni non invadenti.
L’autunno è una delle stagioni a cui moltissimi pittori si sono ispirati, vuoi per la moltitudine dei colori e quasi tutti dalla tonalità calda, vuoi per quel senso interiore di nostalgia che spreme e anche per gli effetti naturali che spesso sa donare, comunque è una delle stagioni che bene si abbina per un gioco di tinte e dare così all’artista lo sfogo delle sue capacità nel mescolarli o inventarli di nuovi.
Tra i tanti oggi ho scelto questa opera di Everett Millais, forse meno nota della sua più famosa Ophelia, ma ben rappresentante il tema odierno dell’autunno. Everett è stato uno dei tre firmatari ( gli altri Dante Gabriel Rossetti e William Holman) del movimento artistico Pre-raffaelita, e sinceramente non sono un loro vero ammiratore, ma l’arte tutta ha sempre qualche cosa da insegnare e da essa abbiamo sempre qualche cosa da imparare.
Foglie d’autunno (titolo dell’opera) non è altro che riproduzione di un sentimento tipico dell’epoca (siamo in pieno ottocento) un sentimento di nostalgico pensare, un sentimento che possa raggiungere una dimensione divina attraverso la funzione artistica.
Matrice essenziale del periodo era la stratificazione sociale, il dominio del concetto vittoriano mentre in questa opera si tracciano già le prime avvisaglie di una rivoluzionaria reazione al suddetto conformismo con il movimento detto estetico, basta porre la visuale sulle ragazze dove le due giovani in nero dominano su quelle che appaiono certo di un ceto inferiore come quella con il rastrello e la più piccola.
La fanciulla che tiene in mano una mela, la più giovane, pare rappresentare la soglia dell’adolescenza con la vicinanza della perdita dell’innocenza simboleggiata appunto dalla mela, frutto simbolo del peccato originale, le due ragazze più grandi sono le sorelle della moglie di Millais, ovvero Alice e Sophia Gray, il crepuscolo e le figure davanti al cumulo di foglie che paiono quasi prostrate a un altare, donano un senso di consapevolezza quasi religiosa, ed è proprio da questa immagine malinconica che la corrente Pre-raffaelita ne esalta la trasformazione.
Quattro giovani e graziose fanciulle sono intente a raccogliere foglie caduche di un avanzato autunno, foglie di platano e faggio dai più svariati colori, ne fanno di esse un grande cumulo per appiccarne poi un fuoco e lo si intende da una lieve nebbia di fumo che esala dal mucchio. Il tramonto, gli alberi in controluce e un lontano campanile donano giusto quel senso di religiosità solenne che prima parlavamo.
La rappresentazione delle giovani altro non è che l’effimera bellezza e giovinezza, una caducità naturale dello scorrere della vita.
Pare che il Maestro per fare questa opera si sia ispirato alla poesia “Tears, idle tears” (Lacrime vane) di Alfred Tennyson che qui riporto una traduzione.
Lacrime, vane lacrime ed arcane
dal sen d’una divina disperanza,
sorgano in cuor, s’accolgono negli occhi.
Vedendo i lieti campi dell’Autunno,
pensando ai giorni che non sono più.
Gai come il primo raggio su una vela
che ci riporti i cari d’oltremare,
tristi come l’estremo su una vela
che affondi insieme con tutto quel che amiamo:
si tristi e gai quei dì che non son più.
Ah, tristi e strani come in alba oscura
voci d’uccelli per morenti orecchi,
mentre ad occhi morenti la finestra
via via diventa un pallido quadrato;
si tristi e strani i dì che non son più.
Cari siccome i baci ricordati
dopo la morte, e dolci come i baci
sognati invan, profondi come amore,
il primo amore, e folli di rimpianto:
O Morte in Vita, i dì che non son più.
Immagine web:John Everett Millais – Foglie d’autunno
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