DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN
Il pittore statunitense John Koch, nato in Ohio, in una città curiosamente denominata Toledo – eventualità piuttosto frequente, in America, quella di trovarsi al cospetto di paesi e cittadine dal nome rievocante l’Europa; in una conosciuta pubblicità degli anni Novanta, il protagonista, dal Michigan, al telefono con la madre in Italia, tentava disperatamente di convincerla che era sì, a Parma, ma non quella in Emilia Romagna, precisando come negli Stati Uniti, di Parma, ce ne fossero ben cinque – è tuttora considerato uno tra i principali esponenti del realismo del XX secolo.
Dopo un esordio non particolarmente soddisfacente in stile impressionista, Koch preferisce specializzarsi nella produzione di scene ambientate in interni urbani, alcune delle quali direttamente raffigurate dal vero, all’interno del suo appartamento a Manhattan; dettagli che contribuiscono a definirne sia la personalità che uno stile prettamente personale, a tal proposito, meritevole di nota: Koch ama ritrarre sia l’intimità degli ambienti, spesso popolata di individui introspettivamente affaccendati – non è raro che l’autore indugi su situazioni apparentemente inesistenti, eppure psicologicamente rilevanti; dipinti, letti alla luce della biografia dell’artista, che rievocano profondi scenari di riflessione: è piuttosto frequente, infatti, riscontrare nelle sue opere connotazioni erotiche più o meno esplicite.
Koch stesso amava precisare di essere visibilmente realista, essenzialmente impegnato con gli ambienti e relazioni, e le composizioni caratterizzanti la sua produzione, definite insolite e complesse, spesso trovano origine nella sua mente, che traendo spunto da fatti realmente verificatisi, costruisce ed inventa storie credibili, pur connotandole in maniera più accattivante, a tratti seducente.
Osservare un dipinto di Koch, a differenza di quanto accade al cospetto, ad esempio, delle opere di Edward Hopper, generalmente comunicanti un vigoroso senso di malinconia e solitudine, lascia l’osservatore nella possibilità di spaziare dalla benevola indifferenza al subdolo intrigo: si passa dalla semplice raffigurazione donne intenta ad occuparsi del proprio lavoro a maglia, ad una immagini indubbiamente foriere di ben altri pensieri, questi ultimi sovente incentivati da atmosfere rievocanti pettegolezzi e perbenismo.
Qualcosa che concede all’immaginario collettivo una propria decifrabilità, non vincolata ad alcuna originaria autenticazione, utilizzando il sistema del preordinato rifiuto esplicativo, il migliore per suggerire l’aspetto enigmatico senza peraltro fornire quella soluzione, o assoluzione, talvolta inesistente: anche quando si dedica ad una situazione apparentemente didascalica, come quella riportata, l’indole dell’artista non rinuncia al velato intrigo di ipotetiche, congiuranti trame.
La solida classicità del busto marmoreo coniuga l’acconciata avvenenza femminile al fascinoso sguardo ispiratore e cospiratore, in presenza di un quieto paesaggio, tuttavia filtrato dall’elaborata decorazione tale da determinare una sorta di virata onirica.
Non ultimi, in prima fila, i gigli tendenzialmente aranciati; un fiore complicato, il giglio, le cui caratteristiche cromatiche tendono a variarne completamente il significato.
Il sovrano dei fiori, come spesso viene appellato a causa della propria, costante presenza tra vicende medievali e bibliche, si muove tra celebrazioni religiose ed altisonanti cerimoniali, forte di un’eleganza senza tempo: in particolare, quando si ha a che fare con tonalità del fiore sospese tra giallo e arancio, il significato attribuito rievoca caratteristiche di esuberanza e vitalità, quindi di buon auspicio per fasi della vita legate a nuovi progetti.
Koch riesce nel difficile intento di legare elementi, matericamente contrastanti, tramite il trait d’union di una connessione abilmente artistica, nella fine previsione di un racconto in attesa di essere svelato…
John Koch (1909-1978), Sculpture and lilies, 1970, olio su tela, 75.9×63.2 cm., Collezione privata
Immagine: web
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