Kamil

DI CARLO MINGIARDI

Aveva dovuto affrontare un viaggio terribile per un bambino di soli cinque anni, per noi inimmaginabile, per quello che ha dovuto sopportare e subire.

Le notizie che ci propinano sui giornali e in tv non rendono l’idea di cosa significhi un esodo di quel genere, sono camuffate e ammorbidite a regola d’arte da chi muove i fili.

Veniva da un paesino del nord della Nigeria, Shinkafi, situato alle porte del deserto, uno di quei posti dove si vive dentro baracche di legno posticce, dove le prospettive di una vita decente sono quasi nulle, dove fai i conti con la fame tutti i giorni, specialmente se i tuoi genitori non li hai più.

Viveva con suo zio Amir, che quando decise di partire non ebbe il coraggio di lasciarlo in quel posto e come aveva promesso a suo fratello lo portò con se.

Durante la traversata sul barcone stracolmo, Amir cadde in acqua e mori annegato come le migliaia di profughi dimenticati sul fondo del Mediterraneo.

Kamil rimase solo, con le sue paure, con i suoi mostri che non lo facevano dormire la notte, con le sue piccole speranze ma con la sua disperata voglia di vivere.

Quando la guardia costiera lo salvò e approdò al porto di Mazara del Vallo, Kamil pensò solo a fuggire via da tutto e da tutti, i traumi subiti erano stati troppi, insopportabili per un bambino della sua età.

Vagò per le campagne siciliane per giorni interi, tenendosi alla larga dal mondo intero, quel mondo che lo aveva così duramente segnato.

Lo trovò ormai allo stremo delle forze la cagnolina della famiglia Barbagallo, lui medico, lei avvocato, famiglia benestante, senza figli, durante una delle loro passeggiata per le campagne di Roccolino Soprano.

Lo portarono nelle loro bella casa e lo curarono amorevolmente fino al momento in cui riprese i sensi, cercarono di fargli capire che ormai era al sicuro, Kamil si rese conto che forse il suo calvario era finito dal modo in cui Rosaria lo teneva abbracciato a se.

Nessuno lo aveva tenuto mai in quel modo, si rese conto di essere al sicuro dal modo di cui Arturo gli parlava, non capiva niente ma di certo erano parole soavi per le sue orecchie.

Kamil dormi’ due giorni di fila sempre sotto gli occhi vigili di Rosaria e Arturo, i quali decisero di non far sapere a nessuno della scoperta del bambino, capirono immediatamente, anche dai segni trovati sul suo corpicino, quello che aveva dovuto subire, e si giurarono l’un l’altro di cercare di recuperarlo prima fisicamente, ma soprattutto cercare di recuperarlo dal punto di vista psichico.

Solo allora avrebbero reso nota la cosa, e avrebbero intrapreso il percorso burocratico per l’adozione. Sì, perché Rosaria e Arturo capirono immediatamente che Kamil era loro figlio.

Kamil oggi è un cardiochirurgo affermato, specializzato in chirurgia neonatale, opera all’ospedale Mangiagalli di Milano, cura il cuore dei bambini malati, li cura con amore, con passione, con trasporto, non si ferma mai perché dice sempre che i bambini non possono aspettare, i bambini non possono soffrire, i bambini devono vivere felici.

Lui che ha vissuto sulla propria pelle, le due facce estreme che la vita ti mette davanti: l’orrore dei suoi primi anni e la felicità di essere cresciuto con una famiglia meravigliosa, porta con se la consapevolezza della sua grande missione.

Mi piacerebbe tanto che ogni profugo che approda nel nostro paese avesse le stesse opportunità che ha avuto Kamil, anche se lui è frutto solo della mia irrazionale immaginazione.

Mi piacerebbe tanto che nel nostro paese ci fossero sessanta milioni di Rosaria e Arturo, mi piacerebbe tanto che questo mondo iniziasse a girare al contrario, perché credo che la direzione in cui gira adesso sia sbagliato.

Mi piacerebbe tanto che non esistesse più una terra promessa perché ogni uomo e ogni donna è felice nel proprio posto.

Immagine tratta dal web

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