“La carta da parati e l’infinito”

DI GIOVANNI BOGANI

Papà, mamma. Vi vedevo spesso nel letto, a dormire.

A riposare, non a fare l’amore. Ma forse, è proprio quella l’idea di amore che più forte ho conservato dentro di me: due persone che dormono vicine, con l’abbandono e la calma, con la naturalezza e la semplicità che tutti meriteremmo di vivere, in ogni momento.

Beh, tranquillamente neanche poi tanto. Tu, papà, russavi come un camion o come una Moto Guzzi 750, gorgogliavi come una betoniera, e avevi sempre gli occhi chiusi e la bocca aperta, perché evidentemente ti mancava l’aria. E tu, mamma, a volte russavi anche tu. Ma non mi dava fastidio, non mi dava fastidio nulla del vostro vivere, del vostro esistere, del vostro rassicurante essere al mondo.

Vi guardavo, con i miei occhi già miopi, fin da bambino.

E in quell’immagine sfocata, non capivo mai se avevate gli occhi aperti o chiusi. Vi guardavo dal mio letto, che era ancora nella vostra stanza? O ero entrato nel vostro letto, ma in disparte, senza riuscire ad avvicinarmi troppo ai vostri volti?

Era pomeriggio, era l’ora del riposino del pomeriggio. La notte, ricordo di avere imparato a dormire da solo piuttosto presto. O meglio, a rimanere sveglio, da solo.

A guardare la carta da parati delle pareti – e infiniti spazi, al di là di essa, io nel pensier mi fingevo. Ricordo come se fosse oggi, come se fosse adesso, come se fosse questa notte, tutto l’infinito domandarmi che cosa sia l’infinito, e come sia possibile che la nostra vita non finisca mai, mai oltre nessun limite, oltre nessun mai che mente può immaginare, oltre qualunque spazio si possa percorrere con la mente, oltre qualsiasi galassia, e confine di galassia, e altra galassia, e altre nebulose, e altri secoli di secoli di secoli di secoli fino a che il pensiero, sfinito, ansimante, rimane a boccheggiare come un cane dopo una corsa, e invece l’infinito è ancora lì, nemmeno scalfito dal nostro percorrerlo con la mente, e non finirà mai, fino a farmi paura, fino a terrorizzarmi più ancora dell’idea di morire, a cent’anni, quando prevedevo che sarei stato rassegnato all’idea di andarmene. E invece nessuna rassegnazione all’idea della morte mi è ancora venuta, adesso che è molto più vicina, adesso che ne ho visti tanti, andarsene, persone con cui ho parlato, che ho abbracciato, che ho stretto, che mi hanno sorriso e alle quali ho sorriso. E, insomma, a cinque anni, nel mio letto, quando mezzanotte era già passata da un pezzo, l’infinito mi aspettava, per conversare, tremando, con lui. E voi, nella stanza accanto, dormivate.

Immagine tratta dal webPubblicità

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