Non mi atteggio a critico cinematografico né, tantomeno, a ricercato analista di tempi, sceneggiature e dialoghi. No, niente di tutto questo. Sono solo una persona a cui piace guardare film e decidere secondo ciò che trasmettono se mi piacciono o no.

Fatta questa breve, ma necessaria premessa, voglio parlare di “La cena perfetta”, un film diretto da Davide Minnella uscito ad aprile scorso e ora visibile su alcune piattaforme streaming. Un’opera che racconta una storia di speranza, riuscendo a regalare emozioni, sorrisi e il gusto di arrivare sino all’ultima scena sperando di trovare il finale agognato.

La trama è piuttosto semplice, come lo è a volte la realtà. Un ragazzo, Carmine (Salvatore Esposito), cresciuto in un ambiente difficile, figlioccio di un capoclan del luogo, dopo aver commesso un errore viene dallo stesso mandato a gestire un ristorante a Roma per pulire i soldi della malavita. Lì conosce una ragazza “incazzata con la vita” che fa lo chef, Consuelo (Greta Scarano), e insieme compiono un percorso, coraggioso (così come deve essere in una favola ma anche nella vita) che li porta verso il futuro. Questo in breve il film, avvenimenti che sanno di realtà mista a occasioni improbabili ma non certo impossibili.

La nota particolarmente riuscita è legata alla narrazione, lieve e ben costruita, svolta con attenzione senza mai cadere nel pesante né tantomeno nel ridicolo. Equilibrio che riesce a rendere realistico il tutto. L’idea fondamentale è che quando si ama – persona, cosa o idea che sia – anche le avversità possono diventare occasioni.

Un merito particolare va ai protagonisti. Salvatore Esposito, un attore che personalmente conoscevo poco, disegna il suo personaggio in maniera tanto vera che sembra quasi aver vissute sulla sua pelle certe esperienze di cui parla guardandosi dietro. Lo chef, Greta Scarano, gli fa da perfetto e, nonostante il carattere del personaggio, dolce contraltare senza mai rubare la scena, anzi, esaltando il suo compagno nei momenti in cui avrebbe potuto perdere consistenza.

Sul resto del cast nulla da ridire. Gianfranco Gallo dimostra tutta la propria solida maturità artistica disegnando un boss (Pasquale) senza anima se non quando il passato, da cui nessuno può sfuggire, torna in maniera imprevedibile. Gianluca Fru (Rosario), fonde ironia e delicata voglia di cambiare in un mix che si esalta nel momento della scelta di non abbandonare il protagonista. Antonio Grosso combina con maestria, attraverso gestualità e sguardi, la rabbia di una delinquenza d’ultima leva che non ammette altro che il dominio sugli altri con l’assoluta mancanza di regole se non quelle della peggior violenza possibile.

Tra l’altro occorre notare come il film – che ha come scenario e motivo fondamentale un ristorante e l’arte del cucinare – si è avvalso della collaborazione dello chef Cristina Bowerman per dare tempi e situazioni proprie del mondo della ristorazione.

Insomma interpretazioni, ambientazioni e scene attraverso le quali il regista, con intelligenza, riesce a dare un respiro vero al film lasciando agli attori la costruzione dei personaggi in maniera spontanea.

Una bella storia che lascia allo spettatore una dolce emozione che, di questi tempi, non può che far bene.