La ferita di vita che mi ha preso le mani

DI MARIAESTER GRAZIANO

Ho parcheggiato vicino all’obitorio. C’era una macchina coi fiocchi bianchi ancora generosi di festa recente, forse di poche ore. E infatti scende una donna col trucco già sciupato, col vestito elegante slabbrato dal dolore, la pelle stanata dall’autunno tutto assieme.

Assomiglia alle foglie gialle di un albero poco più in là che non ce la fa ad appassire del tutto per ostinazione di bellezza. C’è con lei una bambina con una bambola turgida di morte perfetta.
I bambini ci sanno giocare con la morte. Assomiglia all’albero ancora verde che strofina ruffiano sul vento la clorofilla rimanente. La vita ce la mette tutta a mettersi a incastro sui particolari.

Si ficca tutta lì dentro e ci devi stare con l’attenzione a precipizio per sentire quanto ami abbinare la morte con la vita, fiocchi bianchi e palpebre rosse. In bocca il sapore di cenere e rose. Due foglie esatte si staccano dal ramo e cadono come nacchere scoordinate.

Nelle orecchie lo schianto del sussurro che fa la natura. La bambina si accorge anche di quello. I bambini possono. Si precipita a recuperare quella morte da principianti per troppo zelo di colore.
Si mette le foglie gialle sugli occhi.
“Mamma ora c’è il sole”.
Ha già trasformato la caduta in resurrezione di luce.

La donna non ha sentito il fracasso di poesia angelica che le si è compiuto in un istante. Si sbarazza del miracolo per disattenzione da dolore. Mi domando quanto prodigio mi passa accanto senza che io abbia alzato lo sguardo dalla ferita di vita che mi ha preso le mani.

Immagine tratta da Pixabay

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