La mano di nonno

DI MARIAESTER GRAZIANO

La mano di nonno era enorme, artritica, gottosa. Pelle dura, color foglia d’autunno: giallo ocra, arancio tiepido, marrone caldo, rosso sanguigno. Una stagione che esplode e non si abbandona.

Avevano pure odore di autunno: mosto e terra umida. Destreggiava il dito indice facendo discorso senza proferir parola. Si esprimeva per inclinazioni: 45 gradi era raccomandazione (occhio alla penna guagliò), a 90 gradi era imposizione.

Sapevo dall’angolazione se c’era margine di contrattazione. Imparavo geometria sulle sue mani. A scuola studiavo gli angoli così, dandogli temperamento: l’arrabbiato, il condiscendente, il possibilista, il non se parla neppure.

Ricordo un giorno. Le dita di nonno cercavano con difficoltà di prendere un biscottino sentinellato tra gli altri, in ordine geometrico, sul vassoio d’argento di una comare. Le tremò il fastidio sul pelo del mento.

Alla fine nonno ce la fece. Stringeva duro quella pasta dolce e ribelle come volesse sfuggirgli dalle dita. La portava lentamente e con vergogna alla bocca aprendo con cura le mandibole. Inghiottiva zucchero e amarezza. Vedevo il bolo agglutinato fatto di colpo pesante come avesse preso impasto di sabbia e sfinimento tra le gengive.

Lo vedevo scendere come un sasso nella sua gola rasata con cura per l’occasione. Quel giorno nonno si era messo la camicia delle feste. Gli stringeva sul collo. Chiusa fino all’ultimo bottone con l’aiuto di nonna.

Quel giorno ho scoperto la tenerezza e quando una bambina sperimenta un sentimento del genere, l’anima le cresce più del suo metro e poco più. Si scopre che l’anima può farti male per troppo amore.

<<Andiamo a farci tarallucci e vino nonnò,>> mi aggrappai con tutta la manina al suo dito grosso. Fuori da quella clausura da cerimonia, la mia ombra si fece a misura di anima. Uguale a quella di nonno

Immagine tratta dal web

 

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