La solitudine

DI MARIAESTER GRAZIANO

«La donna col tacco grosso segna l’ora di cena. Rientra dal lavoro. Alle ore otto circa. Gira un po’ per le stanze. Va in cucina, accende la TV, sonoro basso giusto per avere compagnia.

Un omicidio, un matrimonio vip, un dentifricio sbiancante per un sottofondo ai pensieri che non sa. Va in bagno, si ferma davanti allo specchio, decide che non ha voglia di struccarsi.

Va in camera, poi di nuovo in cucina, ingresso, borsa, cadono le chiavi, poi di nuovo in cucina. Gira un po’ per le stanze col tacco alto, forte.
Toc toc toc.

Non le basta il rumore del mondo di sottofondo, ha bisogno di un rumore suo, che le dia un tempo ritmico. Il piede nudo e ammutolito le mette solitudine. Accende tutte le luci.
Clic clic clic.

La colata di luna dai vetri le prende la pelle. Si sente molle di inconsistenza albina a passarci dentro. Per questo ha bisogno di un buon neon forte come un gin e di un rumore giusto come il suo tacco che le dia contorni, una forma netta.

Si sentono tutti i piccoli assoli della solitudine: TV bassa, il rubinetto muto, il clic degli interruttori, le chiavi sul pavimento. I tacchi si muovono frenetici, come a cercare qualcosa. Poi il ritmo si fa lento. Rassegnato forse. Infine cede al silenzio.
Tonf tonf.

Le scarpe riposano con la loro bocca larga, vuota. Colte di
sorpresa mentre stavano ancora per dire qualcosa.»
L’orecchio destro era quello più logorroico, il sinistro ascoltava un poco assopito a contatto col cuscino.

Travasava rumori parlati, immagini sonore, come un liquido caldo che dal condotto uditivo scivolava giù in gola, in petto. Provavo tenerezza per il piede muto di Quelladisopra. Mi sentivo vicina la sua malinconia.

Due esistenze parallele che negli androni, sulle scale, sul portone mimavano il brutto repertorio dell’indifferenza con rapidi buona sera, cenni del capo, abbozzi di sorriso.

Immagine tratta da Pixabay

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