L’amico silenzio

DI ROBERTO BUSEMBAI

La stanchezza che provo, oltre il peso dell’età, è quel correre quotidiano che vedo tra la gente, quel lasciarsi trasportare da cose e situazioni come se non ci fosse freno per pensare.

Quello che davvero mi stanca è la notevole inefficienza delle persone che muovono le ali come prendere il volo ma che non riescono ad alzarsi da terra nemmeno a spintoni.

Mi stanca questa volontà e tempo perso per raggiungere un qualcosa che poi non è nemmeno “qualcosa” ovvero un niente meno del niente, e allora mi siedo e penso o come dico io spesso, navigo con la mente.

Era su questa identica panchina che spesso mia madre si riposava dopo avermi fatto “scarrozzare” ben bene, una passeggiata tra i viali, una raccolta di foglie quelle più grandi e colorate che la stagione autunnale offre spontaneamente, un dolce chiacchierare di cose futili ma sempre con un senso ed un valore importante.

E poi qui tutti e due seduti, io con le gambe penzoloni, dai calzettoni bianchi trinati e scarpette colorate, pantaloni a quadri tipo scozzese, maglietta e i capelli ordinati, e insieme pensavamo.

Era il momento in cui mia madre si abbandonava, assumeva allora uno sguardo assente, sereno, quasi etereo e lontano, era in quel momento che la vedevo rilassata, quasi leggera nonostante fosse robusta e piuttosto rotondeggiante, per non dire proprio grassa, che è un termine che non mi piace affatto, e quella sua leggerezza era tale che la faceva davvero volare o così a me appariva e mi dava quel senso di serenità.

Avevo una fata accanto la mia fatina dai capelli quasi neri e dal vestito a fiori, perchè io quando penso a mia madre la ricordo sempre con un vestito a fiori, uno dei tanti che adorava indossare.

Mi abbandonavo anche io a pensare, ovvero a giocare con la mente, si suol dire fantasticare, e mi ritrovavo re nel castello, addestratore di animali, oppure un mago con la stessa magia di mia madre.

E stavamo così, l’uno vicino all’altro, se pur distanti con i propri pensieri, anche per un’ora, senza proferire parola, ma sorrisi e carezze e strette di mani, lei per la sicurezza di avermi vicino, io per la tenerezza di sentirla vicina, e quel silenzio che viveva in mezzo a noi, restava lì, seduto accanto, era il più chiacchierone della comitiva, era un silenzio fatto di parole dorate e voci squillanti e musicali.

Ora sono stanco di questa corsa che vedo ogni giorno, pure nei bambini e nei ragazzi, non c’è tempo per posare i propri sogni e volare, tutto è un brusio di voci e di suoni di cellulari, di computer, di sirene ambulanza e di clacson d’auto e camion a rumoreggiare.

È un vociare a voce alta tanto per farsi capire e ascoltare e in quel parlare si sentono tante parole vuote e insensate, mancanza di comunicazione.

E siedo ancora su questa panchina, lasciandomi trasportare dal quel silenzio che ancora ogni tanto mi viene a trovare.

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