Se chiudo gli occhi
e smetto di parlare,
posso sentire che nessuno è mio,
che tutto è in prestito.
Se ogni giorno
mi alleno a fare a meno di qualcosa,
se riesco a liberarmi dal bisogno
di essere indispensabile per qualcuno,
mi sto addestrando ad essere inutile,
sto svolgendo un esercizio d’amore,
il più fecondo e difficile.
Se chiudo gli occhi
e faccio silenzio,
posso scoprire che è povertà
voler controllare, dover trattenere.
Ricchezza è riuscire a lasciare tutto.
L’amore è dappertutto.
***
Ho scritto questa poesia pensando al mio ruolo di madre e a come lo stesso cambi nel corso del tempo e delle diverse stagioni della vita.
Ho imparato che l’assenza di un genitore per un figlio è altrettanto dannosa di un’eccessiva presenza.
Giovanni Bollea, neuropsichiatra infantile, diceva che essere genitore è un “lungo ed interminabile addio”.
Tu come vivi il dolore del distacco, nella genitorialità così come nell’amore in generale, che permette all’altro di nascere, definirsi e affermarsi come essere altro da te?
Immagine tratta da Pixabay
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