L’apparizione del mondo

DI ANTONIO MARTONE

Ci sarà stato pure un momento in cui un ente animale ha assunto le caratteristiche che poi sarebbero diventate quelle che oggi definiamo “connotati umani”.

Si pensa poco a quel momento: per la nostra specie è stato un istante sacro, terribile e affascinante nello stesso tempo.
Non ho mai smesso di chiedermi, e so che non avrò mai una risposta, che cosa abbia pensato quell’essere (il primo uomo) quando, alzando gli occhi al cielo, ha visto il sole per la prima volta.

Che cosa ha sentito quando ha visto cadere un disco bianco-giallastro dietro una montagna, quando ha scorto la terra nel buio, per vederlo risorgere dopo qualche ora, dall’altra parte dell’orizzonte. Che cosa ha provato? Terrore, paura, sgomento, meraviglia?

E quando ha incontrato un altro essere come lui – che naturalmente non ha riconosciuto in quanto tale – che cosa ha visto in quell’essere, e quanto tempo ha impiegato per comprendere che lui stesso aveva un volto, che ciò che gli permetteva di vedere, ossia i suoi occhi, in realtà erano incastrati nella sua fronte. Di quante generazioni c’è stato bisogno per codificare la differenza fra una pianta, un animale e la neve?

Quanto tempo è stato necessario a questo essere bizzarro, apparso per caso nel mondo, per dare un nome, e dunque fissare in un’essenza stabile, il sole, la notte, le piante, i fiumi e sé stesso?

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