L’attivismo moderno

DI ANTONIO MARTONE

 

Da che cosa dipende l’inquietudine tipicamente moderna che ha messo capo alla volontà di trasformazione del mondo?

L’ambizione fondamentale nata nella visione del mondo moderna, parliamo della svolta che si è prodotta in Europa fra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, infatti, si ripropone di riprodurre l’esistente a partire dalla propria volontà di potenza ed è proprio tale volontà ad essere posta a fondamento del suo agire.

Per rispondere a questa domanda, occorre anzitutto dire che l’uomo moderno scopre di non essere più ciò che era rimasto per secoli , ossia l’abitante di un pianeta posto al centro dell’universo.

L’uomo moderno apprende dalla scienza d’essere nato su un pianeta periferico del cosmo, collocato sotto un cielo vastissimo e dunque vuoto.

Si può immaginare facilmente quanto questo passaggio abbia inciso sull’antropologia umana, in che misura cioè essa sia stata costretta ad elaborare un problema nuovo, de-centrante, spaesante, profondamente imbevuto d’angoscia.

Il passaggio dal geocentrismo all’eliocentrismo non va mai sottovalutato quando si parla della transizione fra premoderno e moderno.

Così come occorre non sottovalutare che l’attivismo capitalistico-industriale, e parallelamente tecno-militare, ha una radice saldissima conficcata nell’angoscia. Per sfuggire all’angoscia, l’uomo violenta la natura e muove guerra all’altro.

Per superare l’angoscia, pertanto, l’uomo ne crea di nuove – nuove paure, magari di sapore apocalittico, attanagliano il mondo in un circolo vizioso che va assolutamente spezzato.

Immagine tratta da Pixabay

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