Lavoro, fisco, pensioni: a pagare sono e saranno sempre gli stessi

di Michele Piras

Secondo lo schema di riforma delle pensioni, in discussione in queste ore, un lavoratore precario che non ha avuto una continuità lavorativa nell’arco della sua vita professionale andrà in pensione con circa il 40-45% della sua ultima retribuzione.

E la prospettiva è lavorare oltre i 70 anni.
Si dice che la cosa riguardi i giovani.
È vero fino a un certo punto, dato che anche coloro che oggi hanno intorno ai 50 anni si ritroveranno in una situazione del tutto simile.
E la cosa paradossale non è tanto la riforma del sistema pensionistico che il governo Draghi sta predisponendo.
Quanto il fatto che negli ultimi trent’anni, pezzo dopo pezzo, si è sottratta ogni garanzia al lavoro, reddituale e di stabilità.
Che in questo Paese esistono ancora decine di forme di contratto precario.
Che nell’arco di qualche decennio è maturata, a colpi di “riforme”, attraversando la sbronza neoliberista e poi la crisi globale dei mercati finanziari, la premessa di un vero e proprio collasso sociale.
E a ben vedere il più grande fallimento della politica sta tutto qui, in un Paese bloccato, senza mobilità sociale, senza il barlume di un piano di rinascita, in perenne discussione sui conti che non tornano.
E a pagare tutto sono e saranno sempre gli stessi.
I giovani, quelli che giovani lo sono stati negli anni ‘90, quelli che un giorno saranno anziani e rischiano di non avere da parte nemmeno i soldi per il funerale.
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