Le ceneri del progresso

DI ANTONIO MARTONE

 

Da quando ha scoperto di essere mortale, l’uomo ha compreso di essere fatto esclusivamente di tempo. Tutto è tempo intorno all’uomo: gli alberi, i campi, le stagioni, le città, le civiltà, gli imperi e soprattutto il nostro stesso corpo.

Da quando ha scoperto di essere null’altro che tempo, l’uomo ha avuto bisogno di una dimensione che ne riscattasse la perdita e la consumazione. Fu allora che nacquero quelle idee monumentali che chiamiamo immortalità ed eternità.

Soltanto con la modernità l’uomo ha deciso di sopprimere la visione del mondo dell’eterno per dedicarsi soltanto al mondo e al corpo. Le scienze e le tecniche moderne fanno parte di questo colossale mutamento di paradigma. Ciò ha conseguito due risultati: da una parte, l’allungamento della vita media e della comodità dell’uomo occidentale (a scapito delle altre popolazioni del pianeta), dall’altro la sconfitta d’ogni speranza di sopravvivenza.

Ciò ha prodotto altresì la storia. Soltanto attraverso quest’ultima, infatti, l’uomo ha potuto concepire categorie quali il progresso e la costruzione del futuro.

È finito anche quel tempo. Quel tempo è tramontato insieme alla consapevolezza che il mondo non è trasformabile all’infinito per servire alle esigenze dell’uomo e, contemporaneamente, è nata anche la sfiducia nella storia e nel progresso.

In una condizione simile, condizione terribile che pochi oggi misurano nella sua effettiva portata epocale, che cosa ne sarà allora dell’antica paura dell’uomo di perdersi insieme al suo corpo?

Che cosa sarà dell’uomo quando questo bizzarro animale potrà porsi davanti soltanto le ceneri, non soltanto dell’immortalità e dell’eternità, ma anche della storia e del progresso?

 

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