Le donne e il parto

di Cristina Piloto (biologa/nutrizionista)

Grazie all’indagine Doxa “Le donne e il parto”, condotta su un campione rappresentativo di circa 5 milioni di donne italiane, di età compresa tra i 18 e i 54 anni, con almeno un figlio di 0-14 anni, sono stati analizzati i diversi aspetti e momenti vissuti dalle madri durante le fasi del travaglio e del parto: dal rapporto con gli operatori sanitari alla tipologia di trattamenti praticati, dalla comunicazione usata dallo staff medico al consenso informato, dal ruolo della partoriente nelle decisioni sul parto al rispetto della dignità personale.

La ricerca Doxa-OVOItalia parla chiaro, in Italia, il 32% delle partorienti ricorre al parto cesareo. Di queste, il 15% racconta che si è trattato di un cesareo d’urgenza. Nel 14% dei casi, rivela l’indagine, si è trattato di un cesareo programmato su indicazione del medico, mentre solamente il 3% di donne ne ha fatto esplicita richiesta.

Sicuramente il parto cesareo, essendo un intervento chirurgico, comporta dei rischi, ma bisogna anche considerare che ha salvato molte donne e futuri nascituri da complicanze molto gravose.

C’è da considerare che il parto naturale, laddove non sussistano rischi per la salute della donna e del feto, può costituire dei benefici. Per esempio, il contatto tra le mucose della madre e il feto che sta per venire alla luce, rappresenta un momento unico di scambio di batteri buoni, che vanno a popolare in maniera positiva la flora microbica intestinale del bambino, e ad oggi si sa quanto questo sia importante e abbia valenza positiva nei confronti di tutto l’organismo.

Tuttavia, anche sostenere a priori che il parto naturale sia sempre la miglior soluzione è quanto mai sbagliato. Spesso le condizioni impongono che venga fatto il cesareo e ovviamente il medico non può assolutamente mettere in pericolo la vita della madre, e la conseguente futura nascita del feto che è dentro di lei.

Quello che rimane indispensabile tenere a mente è proprio il fatto che il medico, in quanto tale, non può avere pregiudizi o credenze di tipo etico-religioso, ma avere come prima ed inconfutabile motivazione per agire, quella di mantenere in salute la persona che ha davanti.

A tal proposito occorre far presente che una piccola percentuale di neomamme (il 4%) ha affermato di aver vissuto una trascuratezza nell’assistenza con insorgenza di complicazioni ed esposizione a pericolo di vita.

Sebbene per una parte del campione l’esperienza del primo parto non ha influenzato la scelta di avere altri figli (63%) o non è stato il fattore che ha spinto la donna a decidere di non avere altri figli (15%), l’11% delle madri in Italia ammette di aver subito un trauma dovuto all’assistenza nell’ospedale e di conseguenza ha preferito rimandare di molti anni la scelta di vivere un’ulteriore gravidanza.

Bisogna sicuramente tenere da conto questi dati e capire come mai si sono presentate situazioni che hanno potuto mettere in pericolo la salute e il benessere psicofisico di queste donne.

E insieme a ciò è doveroso sottolineare che è inaccettabile sapere che ancora oggi, possiamo trovare medici che praticano obiezione di coscienza e si rifiutano, anche in condizioni di pericolo di vita per la donna in questione, di praticare aborti.

Come è assolutamente inammissibile inculcare sensi di colpa o vissuti traumatici nel momento in cui ci si trova a dover affrontare aborti spontanei o volontari.

Quello che deve passare è che la medicina deve essere rivolta solo ed unicamente al benessere psico – fisico delle persone. A maggior ragione quando si parla di nascita umana poi, il medico, come tutte le figure di ambito sanitario che costeggiano questo momento, deve favorire al massimo il fisiologico iter del neonato e della neomamma, lasciando che entrambi realizzino la propria identità in quello specifico momento.

Nel momento in cui passerà a pieno il messaggio che la nascita umana è un momento di totale cesura con quello che c’è prima, che il neonato è qualcosa di completamente nuovo e non si possono fare similitudini con la nascita di altri animali, forse si toglierà quel tanto di sacro che ancora aleggia intorno a questo fenomeno, e gli si restituirà la sua totale naturalezza, scevra di qualsiasi significato religioso, e si vedrà in toto la realtà di un essere umano che prima non c’era.

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