Le pianure interiori di Gerald Murnane

DI VANNI CAPOCCIA

 

Di Gerald Murnane ignoravo l’esistenza. Poi ho letto che per scrittori del calibro di Coetze e Ben Lerner era scrittore oggetto di culto, che non metteva il naso fuori dallo stato australiano dove viveva, che i suoi libri non erano praticamente usciti dall’Australia e che, nonostante questo, era considerato un aspirante al Nobel per la letteratura.

Tutto questo, più il fatto che il suo libro più noto era edito in Italia da Safarà, piccola e quindi coraggiosa casa editrice, e una bella copertina che mi ha ricordato quelle stupende che Heiri Steiner disegnò per i tascabili Feltrinelli m’hanno invogliato alla lettura de “Le pianure”.

Una storia apparentemente piatta come le pianure che la circondano. Il cielo è “privo di ostacoli” e come mancano ostacoli non c’è alcun contesto. Tutto è vago: non c’è un tempo specifico, i personaggi non hanno nome ma sono “gli abitanti delle pianure”, una “giovane donna”, “i latifondisti” strani mecenati che finanziano progetti inconcludenti come quello del “regista” che si perde nel consultare un’immensa malinconica biblioteca alla ricerca d’una sceneggiatura per un film che non parte mai.

Poco più di cento pagine, avendo dopo poche di esse la sensazione che avrei chiuso “Le pianure” prima di finirlo mettendolo tra i libri inutili.

Invece restavo lì, attaccato a quelle pianure che pagina dopo pagina si trasformavano in un paesaggio interiore, un terreno misterioso e inesplicabile.

Un romanzo senza storia che diventa un poema. Pianure che diventano un mondo remoto. Una lettura che diventa un percorso interiore scrutabile solo quando, come farà il regista, si decide che distinguibile è solo il buio e “invisibile è solo ciò che è troppo illuminato”.

 

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