L’erotismo dell’attimo

DI ANTONIO MARTONE

Quando si entra in una nuova esperienza, esattamente nell’attimo in cui vi si entra – quello e non il successivo -, si percepisce qualcosa di fondamentale che di quella stessa esperienza costituisce già un’intima, quanto impronunciabile, verità.

Non parlo qui di esperienze erotiche – non solo di quelle -, ma di esperienze in generale. Foss’anche quella di un viaggio – pensate al momento esaltante in cui, fuori dall’aeroporto, si prende contatto con una nuova città, una lingua sconosciuta e una diversa architettura.

L’essenza delle cose si coglie nei momenti di transizione, quando ci sentiamo sulla soglia, nel momento in cui, cioè, avvertiamo quella vertigine già colma della vita ignota nella quale stiamo entrando. Quando, infine, ne gustiamo l’ebbrezza, la violenza, la forza.

Dopo non più: quando ormai ci siamo entrati, la verità ci ha abbandonati nelle braccia di una sorella minore. Allora, ci rimane “soltanto” una normalità più o meno monotona: la capacità erotica dell’istante è ormai scomparsa.

Per avvicinarci di nuovo alla verità, dobbiamo aspettare la fine del viaggio. Dobbiamo attendere, cioè, quell’attimo intensissimo nel quale percepiamo la rottura. Anche stavolta, esattamente quell’attimo e non quello successivo.

Il miracolo della verità è fatto della stessa struttura dell’attimo e l’essenza delle cose è depositata laddove esse si svuotano per lasciare-essere-altro.

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