Libri- “Furore” di John Steinbeck

 

DI ILARIA PULLE’ DI SAN FLORIAN

 

Furore, il romanzo scritto da John Steinbeck nel 1939, è qualcosa di più di un’odissea americana.

La famiglia Joad, protagonista di un’epopea sullo sfondo della Grande Depressione, nel difficile momento storico tra il crollo di Wall Street del 1929 e l’attacco a Pearl Harbor del 1941, si ritrova improvvisamente catapultata in una realtà diversa; una dimensione parallela, purtroppo reale, in cui ogni cosa materiale in grado di ancorarne l’esistenza alla quotidiana tangibilità, scompare.

La casa, il villaggio, quel micromondo che rappresentava una solida base, viene materialmente raso al suolo dalle ruspe inviate dalle banche creditrici in nome di superiori interessi economici, secondo una logica spietata in cui non trovano spazio né pietà né comprensione, ma solo l’arido profitto.

Inizia in questo modo un lungo viaggio, senza una meta precisa, lungo la Route 66 verso la California.
La Route 66: una strada dal nome intrigante e rievocativo, che tuttavia in Furore ha ben poco a che fare col mito americano di Neal Cassidy e Jack Kerouac – i Dean e Sal di On the road, e con il fascino della Beat Generation o la libertà di Easy Rider.

La Route 66 di Furore si snoda attraverso un percorso infinito di gioghi e difficoltà, tra i migliaia di disperati che cercano disperatamente di raggiungere un illusorio Eldorado californiano – attirati da subdoli volantini fatti circolare da individui senza scrupoli – caricati a forza su qualcosa di simile ad un Treno del Sole; carichi di valigie e scatoloni, come canterebbero i Mau Mau, ma senza borse di maledizioni, poiché, e questo occorre riconoscerlo ai Joad – in particolare a Ma Joad, solido pilastro dell’intera storia, incapace di sottrarre la propria affidabilità anche nei momenti più bui; eterna consolatrice, la cui fiducia inscalfibile resta al contempo una certezza ed un monito – mai definitivamente abbattuti.

Ognuno con le proprie debolezze e qualità, tali da permettere a chiunque di identificarvisi e soffrire o gioire insieme a loro, con quel pesante autocarro, ultimo baluardo di normalità che, come il carapace di una tartaruga millenaria, difende e protegge tutti i loro averi e le loro vite.

Il percorso di quel popolo in fuga che anziché scoraggiare la prosecuzione del calvario, offre occasioni di aiuto e redenzione; la miseria fissata in un marchio d’infamia, pronto a scomparire al cospetto della profonda nobiltà d’animo di chi, anche nelle situazioni più angoscianti, mai rifiuta aiuto e comprensione.

E così ci si adopera con Al e Tom per riparare gomme disastrate e sistemare masserizie, si condivide l’ansia di Rose of Sharon e l’irrequietezza di Ruthie e Winfield, si dubita insieme a Casy, curioso predicatore, in bilico tra fede e vita vissuta.

Steinbeck scrive il romanzo in appena cinque mesi, febbrili ed appassionati, prendendo spunto da alcuni articoli a tema, pubblicati sul San Francisco News nel 1936, ed ispirandosi a racconti di migrazioni bibliche.

Lo stesso titolo originale dell’opera, The grapes of wrath, è tratto da alcuni versi dell’attivista Julia Ward Howe, a loro volta ispirati dall’Apocalisse di San Giovanni – riservando, nel finale, un autentico momento di straziante struggimento alla citazione del racconto, dalla mitologia romana, di Pero e Cimone, quando Rose of Sharon, la quale ha appena partorito la propria creatura senza vita, dona il latte che avrebbe dovuto nutrirla ad un uomo che sta morendo di inedia, allo stesso modo in cui la figlia, Pero, sottraendosi al divieto dei carcerieri, salva il padre, Cimone, allattandolo, con un gesto che commuoverà a tal punto i giudici da indurli a compassione, liberando Cimone.

Trascinando il lettore nella mente del venditore di macchine – in un’atmosfera simil Psycho tra gli interrogativi di Marion Crane – i cui pensieri cinici, attraverso collaudate furbizie, calcolano spietatamente profitti e guadagni, e fomentandone il furore derivante da odiose ingiustizie, terrifiche nella propria spietatezza, Steinbeck riesce ad instillare un germe di ribellione e rappresaglia pronto ad esplodere: lo stesso presente nell’animo di Tom Joad, che in quell’attimo diventa compagno, amico, fratello.

Considerato il suo capolavoro – l’autore vincerà il Premio Nobel per la Letteratura nel 1962 – non mancherà di ispirare un film di John Ford, racconti e brani musicali, come The ghost of Tom Joad, di Bruce Springsteen; in Italia, riceve l’omaggio di Alessandro Baricco, il quale interpreta un documentario a tema, su Rai 3, accompagnato musicalmente da Francesco Bianconi dei Baustelle…

…Io sarò negli occhi di quelli che si ribellano…

Attenzione: spoiler; non vorrei che qualcuno si indispettisse per la rivelazione del finale…

 

Immagine tratta dal web

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