Libri. “Voci alla radio”, intervista all’autore Enzo Mauri

di Olivia Gobetti

‘ Voci alla radio’ di Enzo Mauri, pubblicato da Armando editore, è il consiglio odierno di lettura  per ‘leggere’ la radio degli Anni d’oro attraverso le testimonianze degli speakers che più vi sono rimasti nel cuore.

Un viaggio emozionante nell’etere che Mauri racconta come fosse una favola indimenticabile. Una bellissima storia capace di costruire amicizie, colmare i vuoti della solitudine e dare smalto alle nostre giornate con una partecipazione attiva da ambo le parti. Parliamone direttamente con l’autore:

1) – La radio dà tantissimo ai suoi ascoltatori, ma anche a chi la fa. In quale misura, stare a microfono aperto per tanti anni, ti ha cambiato?

R. ” L’empatia è una delle principali qualità richieste a chi ha intenzione di porsi davanti al microfono, una dote innata se vuoi che si sviluppa negli anni e che ho scoperto di avere ricevendo continui feed back positivi dagli ascoltatori prima grazie alle telefonate, in seguito via chat e social. Quando ancora si potevano scegliere i dischi, compilavo la mia scaletta in base ai miei gusti, immaginando anche quelli di chi si ponesse all’ascolto, “l’esperimento” mi riusciva quasi sempre. Nel corso degli anni la radio mi ha reso più empatico sia radiofonicamente sia nelle relazioni interpersonali aiutandomi a superare una certa dose di timidezza. E’ fra i motivi per cui sono profondamente grato a questo straordinario mezzo di comunicazione.”

2) – Il periodo delle prime radio libere (parliamo del 1976) viene considerato quello più fecondo dal punto di vista della comunicazione spontanea tra i conduttori in erba, motivati da una grande passione per l’etere, e gli ascoltatori, letteralmente ipnotizzati da quel contatto familiare, a tratti casereccio, cui non erano certamente abituati e che stava diventando una sorta di piacevole dipendenza emotiva. Ci puoi raccontare, Enzo, un episodio che ti ha coinvolto durante le tue prime incursioni radiofoniche, e che ricordi con gratitudine e affetto?

R. “In quei primi anni di radio, gli ascoltatori facevano a gara per richiamare su di loro la nostra attenzione, i canali erano pochi ma adeguatamente sfruttati: la corrispondenza e le telefonate. C’erano quelli che al mattino ti chiamavano solo per augurarti il buongiorno, altri affascinati dalla voce desideravano a tutti i costi conoscerti di persona correndo il rischio, in mancanza del supporto video, di avere una grande delusione. Mi chiamava anche una vecchina da una casa di riposo che aveva l’abitudine di tenermi un po’ troppo al telefono, erano i tempi in cui il conduttore faceva da fonico a se stesso, parlare al telefono e curare la diretta diventava complicato. Un giorno la nonnina mi rivelò che avrebbe voluto fidanzarsi con me, mi fece sorridere! Poi non la sentii più ma il ricordo è rimasto.”

3) – Dai tempi ‘eroici’ che cosa ti sei portato nella radio attuale? E, se ne avessi la possibilità, che consiglio daresti ai giovani che desiderano trasformare la passione radiofonica in un lavoro per la vita?

R. “Credo sia utile delle prime radio libere recuperare la spontaneità che nell’emittenza attuale latita un po’. In genere quando sono in radio preparo le linee guida degli argomenti da trattare su cui costruisco un discorso al momento, questa dimestichezza può darla solo il mestiere, inteso come anni di attività davanti al microfono, non si impara da un giorno all’altro. Oggi è più difficile per i giovani accostarsi al mondo della radio, una volta le palestre erano le migliaia di emittenti sparse sul territorio molte disponibili ad accogliere i neofiti, queste realtà stanno man mano sparendo. Chi ama la radio deve fare il doppio della fatica per avvicinarsi, questo non significa che sia impossibile ma sicuramente più complicato. Il consiglio che sento di dare alle giovani leve è di non considerare la radio come una fase di passaggio per arrivare ad altro, mi riferisco allo stuolo di influencer posti davanti al microfono solo perché dotati di qualche milione di follower e che per questo si sentono già arrivati. La radio bisogna amarla profondamente, se la fai per altri motivi l’ascoltatore lo percepisce e non ti segue.”

*Immagine web

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