L’impero cognitivo

DI MARINA AGOSTINACCHIO

Premessa: “con il termine “cognitivo”, o “cognitivista”, si intende isolare una piccola parte della coscienza, a sua volta abitata dall’inconscio, per semplificare le cose ad uso e consumo dell’impero cognitivo”.

Ho letto un articolo sull’ impero cognitivo proprio questa mattina.

#Rivera Cusicanqui, studiosa boliviana, il 16 ottobre 2013 a La Paz, in Bolivia, durante una conversazione con Bonaventura de Sousa Santos, professore della scuola di Economia di Coimbra, ha parlato di come  “nelle epistemologie andine, il presente e il passato sono in costante conflitto, il passato rimane presente e le due parti – passato e presente – creano la complessità delle letterature e delle epistemologie del Sud”.

Cosa significa  presente e il passato sono in costante #conflitto?

Leggendo l’ articolo, mi accorgo che la Rivera, proprio riferendosi a questi popoli colonizzati, non può prescindere, nel suo studio su di essi, da tutto un fluire di esistenza passata e presente che li caratterizza. Rivera Cusicanqui affronta il problema dei #popoli andini da un punto di vista dell’inconscio, uno spazio interno che struttura il pensiero nascosto, con  i suoi ” depositi psichici, con  le sue affezioni psico-sociali”.

Rafforzo l’idea, fatta negli anni di #studio, sulla violenza subita dai popoli colonizzati e penso inoltre come la struttura intrinseca di ogni essere umano, sia fatta di emozioni, sensazioni, vissuto, anche ancestrale, suoni, linguaggio, spazio geografico, spazio mentale e immaginativo.

E qui mi viene in mente #Freud , quando “nella Nota sull’Inconscio in psicoanalisi del 1912 scrive ‘Chiameremo allora ‘conscia’ soltanto la rappresentazione che è presente nella nostra coscienza e di cui abbiamo percezione attribuendo questo solo significato al termine ‘conscio’; invece le rappresentazioni latenti, se abbiamo modo di ritenere che continuino ad esistere nelle vita psichica, com’era nel caso della memoria, dovranno essere designate come inconsce”.

Quando sentiamo parlare di #colonialismo, in genere la mente corre allo sfruttamento sociale ed economico nei confronti dei #popoli conquistati e sottomessi e analizziamo il problema da questo punto di vista, senza tenere conto, e da una  prospettiva diversa,  di quanto, del popolo soggiogato, venga negato o sottovalutato; si tratta della sua dimensione interiore, di quella vita che pullula nelle sue profondità.

Se esaminiamo anche la questione dal versante della lingua, possiamo riflettere come essa sia rivelatrice del cammino di un popolo,  un attraversamento tra passato e presente, fatto di esperienze, sensi, pensiero…

Come dice la studiosa citata, i “sottomessi” dai popoli conquistatori sono costretti a parlare la lingua di questi ultimi. Spesso si esprimono in doppi registri, a seconda delle esigenze di vita pratica create dai dominatori. Il bilinguismo viene così stimato dai più forti come un impoverimento.

Se i #genitori parlano con i figli la lingua madre, questo è visto come un depauperamento sociale; per cui la raccomandazione cognitivista dei dominatori è rivolta a scoraggiare la possibilità di esprimere anche il “sé” in un idioma che non sia quello di chi occupa i vertici politico-sociali di un Paese.

Lo stesso problema di lingua dominante e dominatrice può essere individuato anche nelle situazioni di arrivi di ragazzi nelle nostre #scuole.

Penso a tal proposito che proprio perché le pratiche e le esperienze di un popolo sono espresse dalla lingua di origine, essa dovrebbe essere valorizzata e mantenuta costruendo parallelamente la #lingua del paese di arrivo.

Anche qui dovremmo allargare il discorso, riflettere se la lingua di arrivo vada verso la costruzione di una persona che si vuole realmente libera, perché può succedere che la lingua del Paese ricevente sia soprattutto rivolta alla formazione di un individuo organizzato per il  raggiungimento di fini #economici e sociali, i soli, a quanto pare, che molto spesso sembrano avere diritto di cittadinanza.

Un pensiero va ai miei anni di scuola. Ero funzione strumentale Intercultura. Quando arrivavano ragazzi, improvvisamente e ad ondate nel mezzo dell’anno scolastico, ci si avvaleva del supporto del #Comune, del territorio, dei finanziamenti Ministeriali per organizzare i primi corsi di conoscenza elementare linguistica: la lingua della comunicazione. Inoltre, attraverso forme di mediazione linguistica, insegnanti di madrelingua aiutavano nell’accoglienza questi “disorientati”.

Così penso a quei ragazzi che non sono riusciti ad imparare. Si sa che chi arriva in un luogo a lui estraneo porta con sé la nostalgia della propria terra, dello spazio geografico con cui rapporta di continuo i #punti cardinali del corpo e dello spirito che lo percorrono nel bene e nel male.

E penso a #insegnanti che si sono lasciati andare, anche presi da sconforto, ad espressioni come ” Non sa, non capisce, non vuole”. Eppure, una volta apprese le forme linguistiche di base, questi studenti si esprimevano in un’orizzontalità straordinaria.

In essa trovavo l’essere umano intero; speranze, sogni, pensiero, memoria, sentimento, emozione, ragionamento, passato e presente convivevano.

Non si faccia

#cultura# #riflessione# #cognitivo# #cosedasapere# #insegnanti#

 

 

 

 

 

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