LOREDANA BERTÈ: MIMÌ OGGI SAREBBE FINALMENTE ORGOGLIOSA DI ME

DI GINO MORABITO

Minigonna, capelli turchini e grinta inossidabile. Nostra Signora del Rock tiene botta come quando cantava all’Italia che non era “una signora ma una per cui la guerra non è mai finita”. Una guerra anche contro sé stessa, con i propri sensi di colpa, quando rivive il tempo con Mimì. Loredana Bertè la porta ogni istante negli occhi, nascosti da molto ombretto nero e nel broncio, che raramente lascia il posto al sorriso.

Mimì, diminutivo di Domenica, era Mia Martini: sorella, maggiore di tre anni, scomparsa in circostanze tragiche nel 1995. E mai dimenticata. Loredana non perde occasione per citarla, ed è per lei che si esibisce. Sempre.

«Con lei è morta una parte di me. Io lo sento che, quando sono sul palco, lei è con me, dentro di me. È lei che mi dà l’energia per concerti che secondo la gente sono pazzeschi. Penso che Mimì oggi sarebbe finalmente orgogliosa di me.»

L’immagine più felice di due sorelle complici risale agli esordi, quando non erano ancora nessuno. Ai tempi dei provini in giro per le città, quando partivano in autostop. Non le fermava niente, neanche le porte in faccia.

«Mimì faceva tutto senza pensare, qualunque cosa… Non è vero che il tempo cancella tutto, perché non cancella niente.»

Ossa rotte e dolore sono diventate urla e poi canzoni. La diva antidiva per eccellenza è la cantautrice che ha seguito l’istinto. E ha sempre pagato di persona. Lupa fuori dal branco, ha fatto della propria solitudine l’arma vincente, mostrandoci un cuore “per metà di pietra e per metà di neve”. Guerriera nata, sul palco è un detonatore di emozioni che trasmette vivide durante i suoi live. Esperienze entusiasmanti, manifestazioni di autentica libertà. Libertà di pensiero e di espressione per una personalità artistica, il cui nome incarna da sempre trasgressione e verità.

«A me la museruola non l’ha mai messa nessuno! Le “canto” a chi non rispetta la libertà e i diritti altrui.»

Loredana Bertè è oggi tra le artiste più rispettate e benvolute del panorama musicale italiano. Per l’avanguardia che rappresenta, per la sua musica, per l’essersi saputa reinventare ogni volta.

«L’artista vero ha l’urgenza di esprimersi, di comunicare quello che ha dentro. Non si fa l’artista, lo si è e basta!»

Alla luce di un appiattimento culturale che sta prendendo sempre più il sopravvento sulla pacifica coesistenza delle persone, la musica scende in capo e gioca la partita contro l’intolleranza.

«La musica può contribuire a cambiare alcuni aspetti ma è la politica che deve avere un passo diverso. Oggi si fa solo propaganda, ma i politici che fine hanno fatto?»

Inguaribilmente affetta da parresia, quell’urgenza di parola schietta, sfrenata, libera… guarda ancora al futuro. Ma non ci spera.

«Io non spero, sarà l’età ma non faccio programmi a lungo termine. Vivo l’attimo.»

Il qui e adesso di una donna ingenerosa con sé stessa, che più volte da bambina avrebbe voluto rivolgere gli occhi altrove.

«Ho visto spesso cose che non mi piacevano: troppa violenza domestica e non solo, e da lì ho cominciato a pensare di voler “scendere” da questo mondo.»

Dall’originaria Bagnara Calabra, in un Sud dalle molteplici contraddizioni, il viaggio alla ricerca di un luogo da sentire come casa.

«Ho vissuto in tanti luoghi diversi: l’infanzia e l’adolescenza nelle Marche, la prima giovinezza a Roma e poi la maggior parte della mia vita a Milano, con una parentesi di sei anni in Svezia. Diciamo che ho viaggiato moltissimo, mi sento senza radici, molto internazionale. Al di là del luogo di nascita, ognuno può trovare il proprio posto nel mondo a seconda delle sue aspirazioni e dei suoi sogni.»

I sogni di una guerriera che ripensa, dolcemente malinconica, al cielo stellato delle Hawaii ed esercita il proprio status di donna in un mondo di uomini.

«Io me ne frego, faccio quello che mi va e li ignoro. Purtroppo ne ho sposati due: miliardari senza spicci per pagare un taxi… No comment!»

Nell’arte, come nella vita, Loredana Bertè proclama il manifesto della propria esistenza. Ci sbatte in faccia, impetuosa, quel non essere una signora ma una per cui la guerra non è mai finita. Una Che Guevara in gonnella, come ama definirsi, che ha sempre pagato di persona.

«Il prezzo è sempre stato alto. Un braccio di ferro continuo con le case discografiche, che in passato volevano impormi di fare musica vecchia. Io guardavo avanti e loro guardavano indietro, non potevamo trovare un accordo. Il prezzo più alto forse l’ho pagato con l’album Carioca, nessuno ci avrebbe scommesso un centesimo… Gli unici a cui piaceva erano Mimì e Fossati. Ma, con il tempo, il valore della collaborazione con Djavan è venuto fuori e mi sono presa le mie soddisfazioni.»

Evita di guardarsi allo specchio Loredana, così come non ha mai rivisto le sue apparizioni televisive, perché non si piace mai. Ma piace e infiamma gli animi, e canta dritto al cuore della gente. Il palco è la sua valvola di sfogo e, quando i riflettori illuminano la scena, lei avanza: leggings, sneakers e coda di cavallo color elettricità. Continua a raccontare una storia che non si è mai interrotta, quella buona novella in musica che ha segnato il Paese. Con la voce graffiata dal fumo e dalla vita, e un timbro di bambina mai cresciuta, urlando al mondo W la LiBerté!

 

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