L’ultima caccia

DI CARLO MINGIARDI

Odio la caccia, è un’attività che ho sempre detestato, anche se mio cugino da ragazzo mi ha portato qualche volta con lui, non ho mai sparato.
L’ho fatto solo da militare, ma lì era un obbligo e non ammazzavi nessuno, era solo per esercitarti a fare la guerra, che grande controsenso.

Non è etico stare comodamente acquattato dietro un cespuglio e sparare ad una preda inerme, senza dare la minima probabilità di salvezza. Il danno provocato finora dalla caccia è mostruoso, lo dicono i numeri.

Detto questo, mi viene in mente Alfredo che aveva passato tutta la mattina a sistemare e pulire con cura maniacale tutti i suoi fucili. Ne aveva una rastrelliera piena, oggetti scuri e metallici che sapevano solo regalare morte.
Per quella battuta di caccia pensò bene di portarsi l’ultimo sovrapposto acquistato, un arma dalla doppia canna, letale e preciso come un sicario.

Aveva scelto attentamente quale tipo di cartucce portare con se, ne aveva un assortimento imbarazzante, da quelle a piombini per il povero fringuello a quelle a pallettoni corazzati per i cinghiali più coriacei.
Aveva indossato agilmente tuta mimetica imbottita, stivali, cappello, guanti tecnici, messo nello zainetto gli accessori necessari e era pronto a partire per l’ultimo pomeriggio consentito dal calendario venatorio.

Durante il tragitto con la sua jeep, ripassava con cura il percorso che avrebbe fatto nel bosco. Lo conosceva come le sue tasche, ci era praticamente cresciuto, da quando aveva solo dieci anni con suo padre che se lo portava dietro. Adesso a trentasei anni, sapeva riconoscere ogni abete, roccia e ruscello che incontrava su i suoi passi con una lucidità “disarmante”, scusate l’accostamento improbabile.

Pensava a quale tipo di strategia avrebbe adottato per avvicinare quel cervo maestoso che gli era sfuggito da sotto il mirino già parecchie volte.
Ormai era una sfida, quasi una gara con quell’animale, una lotta per la vita o la morte.
Alfredo non era un perdente, nella vita di sfide ne aveva affrontate tante, per svariati motivi. Era un uomo temprato a ogni difficoltà, ex sergente dei paracadutisti, razionale, cinico e soprattutto abituato a vincere.

Parcheggiò il fuoristrada alla fine della carrareccia e si incamminò a passo veloce e silenzioso verso quella radura in cima alla montagna dove pensava di avere più probabilità di incontrare l’animale.
Dentro l’abetaia secolare si muoveva con l’agilità di un “rambo”, ogni tanto si fermava per osservare le orme che incontrava, rami spezzati, ciuffi di pelo, che potessero dargli indicazioni sul percorso da seguire. Aveva tutti e cinque i sensi amplificati e attenti al più piccolo indizio.

Quando arrivò alla radura che conosceva si nascose con cura dietro un fitto cespuglio di pino mugo, cercò di calmare il respiro affannato dalla camminata e puntò l’arma verso il luogo dal quale prevedeva uscisse il cervo.
Dopo una mezzora di appostamento cominciò a sentire dei bramiti che si avvicinavano sempre di più, rumore di rami spezzati, l’animale stava chiamando le femmine. Era la situazione ideale, sarebbe stato più distratto e lui avrebbe avuto più chance di avvicinarlo.

Quando uscì allo scoperto nella radura, Alfredo finalmente poté ammirare tutta l’imponenza e la bellezza di quel maschio. Sbuffava dalle narici umide come una vaporiera, si guardava intorno con diffidenza, sembrava molto nervoso, forse aveva già sentito l’odore dell’uomo.
Con movimento silenzioso puntò le due canne del sovrapposto verso la testa color ruggine dai palchi enormi, trattenne il respiro per stabilizzare ogni muscolo del corpo, mise il dito indice sul grilletto e… si fermò appena in tempo.

Sulla sinistra della radura come per magia sbucò fuori un vecchio, lo riconobbe immediatamente: era Agostino, un anziano allevatore di capre che abitava la malga all’ingresso del bosco. Un burbero solitario conosciuto in tutta la vallata, uno di quelli che aveva deciso di allontanarsi dal mondo e che viveva la sua vita con quel poco che la natura gli metteva a disposizione.

Alfredo guardava la scena incredulo: il vecchio si avvicinò all’animale che sembrava lo conoscesse, tirò fuori dal tascapane una mela e gliela porse, quando il cervo cominciò a mangiare disse ad alta voce:
“Lascia il fucile in terra e vieni piano piano qui, se ci sono io non ha paura…”
Il ragazzo non credeva a quello che stava accadendo, con cautela usci fuori dal nascondiglio e si incamminò verso il vecchio e l’animale. Mentre si avvicinava incontrò lo sguardo del cervo, aveva gli occhi marrone scuro di un profondo e di una bellezza mai vista prima.
Occhi che arrivavano dritti all’anima, occhi che disarmavano, che interrogavano, che chiedevano pace.

“Puoi accarezzarlo, non fuggirà, ha capito che non gli farai del male…”
Disse con saggezza il vecchio.
Alfredo allungò la mano tremante e sfioro con delicatezza il pelo caldo come il pane. Provò una sensazione di benessere che non aveva mai provato in vita sua, era come se ogni cellula del corpo si stesse nutrendo di una consapevolezza nuova.
A quel punto dal fondo della radura, uscirono fuori una femmina con due cuccioli.

Anche loro si avvicinarono curiosi e presero dalle mani di Agostino le mele che aveva portato. Il ragazzo sentì gli occhi inumidirsi, un senso di dispiacere, amarezza, rammarico lo pervase.
Fino a quel momento aveva ucciso quelle splendide creature.
Quello a cui stava assistendo era armonia, serenità, era vita.
“Quello che è successo oggi non lo dimenticherai per tutta la vita, ne farai tesoro e lo racconterai un giorno ai tuoi figli. Tutte le creature hanno diritto alla vita…”
Aggiunse il vecchio con passione.

Gli animali si allontanarono lentamente, il maschio si voltò per l’ultima volta verso il ragazzo, lo guardò con occhi infiniti e potenti poi sparì per sempre.
Da quel momento Alfredo non ha più sparato un colpo.

Può capitare che un evento imprevisto possa cambiare radicalmente la tua esistenza. Quando Agostino passò a miglior vita, qualche anno dopo, il ragazzo acquisto la sua vecchia malga e andò a vivere lì con la donna di cui si innamorò e con i figli che procrearono.

Ogni giorno che ha fatto il Padre Eterno dei cervi si avvicinano all’abitazione e mangiano le mele dalle mani di Alfredo e della sua famiglia.

Immagine tratta dal web

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